Cosa dovremmo
fare…
Domenica con
Roger Abravanel
Manager e scrittore
http://it.wikipedia.org/wiki/Roger_Abravanel
“Anche l’Italia s’innamorerà delle regole”
Lei, Roger Abravanel è l’autore di «Regole» (Garzanti), libro a quattro mani con Luca D’Agnese, i cui proventi andranno in beneficenza. Secondo lei gli italiani sono capaci di rispettare delle regole?«Sì. In Svizzera, per esempio, dove potrebbero facilmente rubare i giornali, perché questi vengono lasciati nelle cassette per strada, invece li comprano e li pagano. All’estero, gli italiani rispettano le regole. Il problema non è l’italiano, ma l’Italia».
In che senso l’Italia?«In Italia si è creata una cultura di tolleranza ampia nei confronti del non rispetto delle regole. Fondamentalmente è un problema di ignoranza, perché gli italiani non capiscono che non rispettare le regole li danneggia».
Perché li danneggia?«Almeno 20 milioni di italiani evadono le tasse. Questa evasione non permette allo Stato di ridurre le tasse pagate dalle imprese migliori che rispettano invece le regole e sono penalizzate nel crescere e nell’assumere giovani lavoratori. Un altro esempio. In Italia abbiamo tanti colpi di frusta dopo presunti tamponamenti, complici i meccanici e i medici collusi. Questo fa sì che le società di assicurazioni, per recuperare, aumentino le tariffe. Un napoletano paga 1000 Euro una polizza assicurazione auto, un tedesco paga 250 Euro, questo è il risultato».
Le regole sono sempre più seguite dai popoli che sanno fare «sistema», ma gli italiani sono individualisti e restii a fare il sistema o sbaglio?«Il problema non è tanto il sistema, ma la cultura. Nei paesi anglosassoni, dai tempi della Magna Carta nel 1215, si è capito che le regole e il rispetto delle regole sono l’essenza del libero mercato e quindi vanno rispettate anche se sono sbagliate».
Anche se sono sbagliate? In che senso? «Perché rispettandole, le puoi modificare e migliorare. Gli esempi sono del resto a milioni. Da noi le regole non vengono rispettate, se ne fanno altre ancora peggiori che non vengono ulteriormente rispettate. Ma non si possono mettere in galera milioni di persone, così si va avanti, si fa un grande condono o si prosegue in un circolo vizioso perenne». Lei che cosa propone?«Bisogna cercare di individuare un “punto di rottura” in base al quale una percentuale elevata di italiani capiscano che seguire le regole conviene».
Per esempio?«Propongo 5 “guerre lampo” per convincere gli italiani che conviene rispettare le regole».
Quali?«La prima nei servizi locali, nell’acqua, e nei rifiuti, per creare una sorta di Enel dei rifiuti come esiste per esempio in Francia, dove si chiama Veolia. Invece di regole locali, che favoriscono piccole imprese spesso legate alla camorra, un regolatore centrale che crea grandi imprese. Un’altra guerra lampo la farei nel turismo replicando l’approccio della Aga Khan in Costa Smeralda. Per esempio avviando in Sicilia un grande progetto con concessioni per 50 anni con importanti operatori che creano aeroporti ospedali e grandi strutture alberghiere. Ivan Lo Bello, Presidente della Confindustria Siciliana, sostiene che la mafia combatte il libero mercato e le regole.
Altre proposte?«Vorrei che si estendesse l’esperienza nel Tribunale di Torino a tutta l’Italia per ridurre i tempi della giustizia civile che oggi in Italia sono a livello di quelli del Gabon. Senza la giustizia civile non ci sono regole. Come quarta proposta vorrei che fosse ripensata l’architettura delle nostre scuole per ridurre “l’analfabetismo” degli italiani nei confronti delle competenze della vita». Che cosa sono le competenze della vita? «Leggere e capire ciò che si legge. Saper risolvere i problemi, saper lavorare in squadra, saper comunicare. Secondo un indagine recente l’80% degli italiani sono “analfabeti”, nel senso che sanno leggere ma non capiscono ciò che leggono e quindi non possono essere né cittadini né lavoratori del nuovo millennio».
E da ultimo? «Propongo una “guerra lampo” sulla Rai per cambiare il mondo dei media italiani, copiando il sistema di governance della Bbc. L’obiettivo non è la par condicio politica, ma la qualità della televisione. Non esisterebbe una commissione di vigilanza politica che controlla la par condicio, ma una commissione di 12 esperti che controllano la qualità nel consiglio di amministrazione, composto da persone con competenza televisiva e non politica».
5 GUERRE LAMPO «Dai rifiuti alla Rai, le ricette per imporre meriti e mercato»
23 Gennaio 2011
La Stampa Alain Elkann
…se fossimo un
Paese normale!!!
gba
Nessun commento:
Posta un commento