Quello che
nelle commemorazioni
non viene detto…
nelle commemorazioni
non viene detto…
Le 1.109 leggi e
ordinanze
che bloccano L'Aquila
Quattro anni dopo il
sisma.
Il sindaco:
"Rimarranno
solo i vecchi.
Troppa burocrazia"
E in centro restano i
ponteggi
Piovessero
soldi come piovono regole, a L'Aquila sarebbero ricchi sfondati e i cantieri
sarebbero un via vai di ruspe, camion e betoniere. Il guaio è che quattro anni
dopo il terremoto continuano a piovere pochi quattrini e troppi decreti e
ordinanze, leggine e direttive. Per un totale, tenetevi forte, di 1.109
disposizioni (per ora) che si aggrovigliano come i ponteggi che ingabbiano la
città.
Ma certo che occorrono
regole, per la ricostruzione. Perché non c'è occasione, come ricordano decine
di episodi emersi dall'inchiesta parlamentare sull'Irpinia o la famigerata e
intercettazione («Ridevo stamattina alle tre e mezza dentro il letto») fra
costruttori dopo il sisma in Abruzzo del 6 aprile 2009, che offra opportunità
di affari e arricchimento quanto un terremoto.
E non c'è dubbio che l'attenzione
deve essere moltiplicata per il rischio di infiltrazioni mafiose. Un'overdose
di norme, commi e codicilli, però, può uccidere quanto il disinteresse. Di più:
fa venire il sospetto che drogare le normative possa servire a celare
l'avarizia sparagnina dietro l'abbondanza di precetti.
L'ingegnere
Gianfranco Ruggeri, che come i suoi colleghi impazzisce da anni avviluppato nel
groviglio, ha tenuto il conto: 5 leggi speciali, 21 Direttive del Commissario
Vicario, 25 Atti delle Strutture di Gestione dell'Emergenza, 51 Atti della
Struttura Tecnica di Missione, 62 dispositivi della Protezione Civile, 73
Ordinanze della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 152 Decreti del
Commissario Delegato, 720 ordinanze del Comune. «Ma devo confessare che nel
casino qualche ordinanza municipale potrebbe essermi sfuggita». C'è da capirlo.
La sola scheda parametrica messa a punto insieme con l'ultimo decreto di Mario
Monti, per dire, è di 139 pagine più allegati.
Secondo la giunta comunale di
centrosinistra, da anni in guerra con l'amministrazione regionale di destra
(«si sono comportati come i capponi di Renzo, si beccavano e si beccavano,
senza capire che insieme avrebbero ottenuto dal governo quelle risorse che oggi
non ci sono più...», ha detto ad Avvenire Celso Cioni, direttore di
Confcommercio) per partire davvero con la ricostruzione del centro storico
sarebbero necessari almeno un miliardo l'anno da qui al 2019. Ma per ora,
accusa il sindaco Massimo Cialente, non sono arrivati neanche i 985 milioni
stanziati dal Cipe a fine dicembre. E il comune: nessuna colpa? Sì, ha risposto
di getto a Radio24 il primo cittadino: «Non aver messo le bombe!» E ha
aggiunto: «Se non ci danno i soldi per ricostruire, nel 2016 non ci saranno
neanche 40 mila abitanti, qui resteranno solo vecchi e dipendenti pubblici:
nell'ultimo anno se ne sono andate seimila persone».
Giovani, soprattutto. Andati
via perché, ha tuonato nel suo messaggio pasquale l'arcivescovo Giuseppe
Molinari, «constatano con immensa amarezza e tanta rabbia che la città non
offre loro più nessuna speranza per il futuro». Colpa della crisi, delle casse
vuote, dell'Europa che ringhia al primo accenno di squilibri contabili? Anche.
Ma il vescovo vede pure dei colpevoli in carne ed ossa: «Sembra che una grande
maledizione si sia abbattuta su coloro che abbiamo eletto come rappresentanti
del popolo. La maledizione è la perdita di ogni buon senso».
Stretta tra i grovigli dei
ponteggi che avvolgono l'intero centro storico e i grovigli delle regole,
L'Aquila fatica a rinascere. E assomiglia sempre più ad Atrocla, l'isola
partorita dalla fantasia dello scrittore Alexander Moszkowski dove, scrive Anna
Ferrari nel «Dizionario dei luoghi immaginari», «ogni aspetto anche minuto
della vita quotidiana è regolato da una pletora di leggi, codici e regolamenti
di una tale complicazione e contraddittorietà che è impossibile per un abitante
dell'isola non infrangere almeno di tanto in tanto la legge». Come puoi posare
un mattone, a L'Aquila, senza rischiare di violare un dettaglio di quel delirio
di norme?
Una burocrazia da incubo.
Immensamente più ammorbante del quadro di leggi con cui fu ricostruito il
Friuli. Come dimenticare, per citare un solo documento secondario, il rapporto
sul sequestro degli attrezzi usati per le loro proteste dal «Popolo delle
Carriole»? «Noi sottoscritti ufficiali di PG... riferiamo di aver proceduto,
alle ore 10.20 circa odierne, in Corso Federico II, di fronte al cinema
Massimo, al sequestro di quanto in oggetto indicato perché utilizzato dal
nominato in oggetto per una manifestazione non preavvisata...». Vale a dire
«una carriola in pessimo stato di conservazione con contenitore in ferro di
colore blu con legatura in ferro sotto il contenitore e cerchio ruota di colore
viola» oltre a «una pala con manico in legno».
Certo, una prima chiesa, San
Biagio, è stata restaurata. Ma solo per iniziativa della Fondazione Roma che si
affidò all'architetto Salvatore Tringali che già aveva restaurato la Cattedrale
di Noto. Tutte le altre, come giustamente accusò Vittorio Sgarbi il giorno
dell'inaugurazione, sono ancora lì, ad aspettare, aspettare, aspettare... Gli
aquilani vogliono a tutti i costi credere che questa volta sia vero quanto ha
detto il direttore abruzzese del ministero dei Beni culturali, Fabrizio Magani.
E cioè che sono in arrivo i soldi per aprire 65 cantieri e se tutto va bene
«saremo in grado di restituire agli aquilani e a tutti gli italiani 250
monumenti in nove anni». Vogliono credere a lui, a Monti, a Fabrizio Barca cui
danno atto di essersi speso molto... Ma non è facile dopo tante delusioni...
La Fiaccolata della Memoria,
la processione degli abitanti sfollati dal capoluogo ferito a morte, si è
ripetuta ieri sera attraverso un centro storico dove tutto sembra uguale a un
anno fa, a due anni fa, a tre anni fa, a quattro anni fa... Tutti con gli occhi
fissi. Tutti con il magone. Tutti con lo spirito di Giusi Pitari, la docente
che fu tra gli animatori dei cortei delle carriole: «Non voglio più ricordare i
bei tempi, li voglio vivere».
Dicono i numeri che le persone
ancora assistite sono 22.206, di cui 12.318 vivono nelle C.a.s.e. (Complessi
Antisismici Sostenibili Ecocompatibili) tirate su a tempo di record da
Berlusconi (da tempo lontano lontano...), 2.700 in moduli
provvisori, 240 in
abitazioni del Fondo Immobiliare. Altri 6.686 aquilani rimasti senza un tetto
ricevono un «contributo autonoma sistemazione». Altri 259 sono alloggiati in
varie strutture ricettive, come i 116 che vivono ancora a Coppito, la grande
caserma dove per tre giorni furono accolti Barack
Obama e i grandi del G8, per i quali furono spesi 24.420 euro di accappatoi,
26.000 per «60 penne in edizione unica» di Museovivo (433 euro l'una), 22.500
euro per 45 ciotoline portacenere in argento di Bulgari: 500 euro a ciotolina.
Corriere
della Sera 6 aprile 2013
…e in cabina elettorale
viene dimenticato
da chi
vota con la pancia.
Quei pochi che vorrebbero votare con la testa…
non trovano
referenti politici
adeguati.
Ci si tura il naso
e si votano
i meno peggio…
...che come tali
non ce la possono fare!!!
Spuntano i saggi che
essendo “saggi di parte”
difficilmente potranno
essere “saggi”.
Qualcuno si ammazza
gli altri
stanno a guardare.
Nessuno dice che prima della crisi
uccide la oramai cronica incapacità a
CONDIVIDERE!!!
uccide la oramai cronica incapacità a
CONDIVIDERE!!!
Forse è arrivata
l’ora di AGIRE!!!
Se non ora quando?
…se volete dite la Vostra qui sotto!!!
gba
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