Le cose serie
che
andrebbero fatte…
Il poltronificio delle partecipate
Ci sono 26 mila posti tagliabili
Con il piano messo a punto da Cottarelli
Con il piano messo a punto da Cottarelli
possibili
risparmi fino a 3 miliardi
Le società controllate da Comuni e Regioni?
Un vero e proprio poltronificio. Se per magia domani Renzi riuscisse davvero
ridurre di colpo da 8000 a 1000 le società controllate dagli enti pubblici
salterebbero 26mila poltrone, tra presidenti, amministratori delegati,
consiglieri e sindaci. Per un risparmio diretto di almeno 4-600 milioni di euro
di emolumenti. I dati non possono essere fissati con certezza, ed in realtà la
forbice oscilla tra 21 e 30mila posti, ovvero da un minimo di 2,9 a 4,3 membri
per consiglio (stime dell’Istituto Pio La Torre), perché il mondo delle
partecipate è in continuo rivolgimento. Un «mondo oscuro» l’ha definito la
Corte dei Conti.
L’ultimo Rapporto del ministero
dell’Economia parla di 8.146 società, la magistratura contabile arriva a 7.472,
anche se poi tolte quelle che fanno capo allo Stato, 50 gruppi con 520
controllate di secondo livello, il conto si riduce a 5.258. Il rapporto di
Cottarelli, consegnato giovedì sera al governo, ne conta 7.726, ma 1250 non
sono operative, 37 mila seggiole e circa 450 milioni di emolumenti. Il tutto da
sforbiciare per bene per arrivare a risparmiare in tutto 2-3 miliardi.
Stringendo la lente sulle città con oltre
100mila abitanti e le province sopra i 500mila una indagine recente di R&S
Mediobanca mette a fuoco molto bene il capitalismo municipale e regionale
«all’italiana». I suoi pro (pochi) ed i suoi contro (che sono tanti). Filtrando
i dati e analizzando al microscopio i bilanci delle 67 società detenute dai 115
più importanti enti locali che presentano un fatturato consolidato superiore ai
50 milioni di euro viene alla luce un universo che con le controllate lievita
ad un totale di 435 imprese, che conta 132mila dipendenti e vale 31,7 miliardi
di fatturato.
Un mondo composto dalle ricche multiutiliy
e dalle società energetiche, che tra il 2006 ed il 2012 hanno realizzato utili
per 3,3 miliardi, e imprese come quelle di igiene urbana e quelli che
gestiscono tram e busi in rosso fisso. In sei anni la romana Atac ha accumulato
oltre un miliardo di perdite (e da sola, sostiene Cottarelli, genera metà delle
perdite di tutto il trasporto pubblico locale italiano), la milanese Asam 312
milioni, la romana Ama 290, la napoletana Ctp 210, la laziale Cotral 168. Di
contro A2A ha fatto utili per 1,1 miliardi, Acea per 701 milioni ed Hera per
693. Molte producono ricchi dividendi, ma tante altre rappresentavano un pozzo
senza fondo assorbendo tra l’altro 4,4 miliardi di euro di contributi legati ai
contratti di servizio: 2,9 miliardi le aziende di trasporto e 1,5 quelle di
igiene ambientale. Costi che alla fine pagano i cittadini con un esborso
procapite di 160 euro l’anno.
Si accumulano grosse perdite, insomma, ma
in parallelo anche potere, poltrone e clientele da spartire e consulenze da
assegnare a pioggia. A tutto il 2012 i 115 enti locali azionisti delle società
analizzate da R&S avevano insediato negli organi societari delle
partecipate ben 2.345 propri rappresentanti dei quali mille in posizioni
apicali (presidente, amministratore delegato, ecc). A queste nomine poi se ne
aggiungono a cascata altre 2.287 in enti, fondazioni e consorzi.
I comuni hanno espresso 1.089 nomine,
mentre Regioni e Province si sono divise le altre 1300. Il numero dei nominati
è mediamente pari a 15 persone per ciascuna provincia, 22 per ogni comune e 32
per le regioni. Venezia (65), Roma e Parma, prima del disboscamento avviato da
Pizzarotti causa rischio-default, con 53 ognuna, sono le città che hanno
espresso il maggior numero d’incarichi.
Trento con 105 e Bolzano con 59 sono le
province più prolifiche, il Friuli (66), la Valle d’Aosta e la Sicilia (58) le
Regioni più attive. Detto questo, Mediobanca non nasconde che nell’ultimo
triennio sia stato fatto un certo sforzo per contenere i costi: un po’ ovunque
il numero di nomine è calato del 16,5%, il monte stipendi è sceso del 21,2% ed
il compenso medio per carica ha subito uno decurtazione del 9%, da 26 mila a
23.700 euro. Cottarelli va ovviamente oltre: accorpa, cede e taglia società ed
inoltre propone cda formati da appena 3-5 componenti, divieto di cumulo degli
incarichi e rigidi tetti ai compensi. Una vera e propria sfida nella sfida.
Paolo Baroni
La
Stampa 9 Agosto 2014
Ricordo a chi se lo fosse
dimenticato che il ciarlatano qualche giorno fa ha ricordato, con tono
perentorio, al Dott. Cottarelli, estensore di diversi progetti realmente
riformatori, che è la politica a decidere…arrivando addirittura a far
intravvedere un possibile defenestramento del suddetto encomiabile personaggio.
Nel frattempo il nostro
presidente del consiglio ringalluzzito dall’incontro con il condannato a titolo
definitivo per reati fiscali…parlava, parlava, parlava portando in Senato una
riforma pasticciata e contraddittoria che come unico scopo ha quello di sancire
che in questo Paese vige una democrazia di nominati e non di eletti. Quello che
leggete oltre è un equilibrato e saggio giudizio su tale indecente riforma. gba
…quelle
fatte male…
Senato, occasione persa
si poteva volare più alto
Caro Direttore,
ho partecipato alla discussione e al voto
sulla riforma del Senato senza posizioni precostituite. Mi interessava capire
contenuti e metodo. Cioè come si riforma uno Stato. Un’occasione unica per
imparare come in un altro ambito di impegno pubblico, diverso da quello in cui
lavoro, «si cambia per migliorare». Ho ben compreso l’impegno dei relatori,
della Commissione e di tutta l’Aula. Ho ascoltato in silenzio molti interventi
di ogni appartenenza politica e seguito la discussione fuori, in un Paese
distratto dal periodo balneare e schiacciato dai dati dell’Istat che parlano di
economia in recessione. Ho apprezzato alcune modifiche al testo del Governo. Ma
nel complesso prevale la delusione.
Delusione per aver sprecato l’occasione per condividere e confrontarsi sulle visioni del Paese che vogliamo consegnare ai nostri figli.
Delusione per aver sprecato l’occasione per condividere e confrontarsi sulle visioni del Paese che vogliamo consegnare ai nostri figli.
Le risorse umane, professionali ed
intellettuali per fare meglio c’erano tutte, in Senato e fuori. Attraverso la
scelta di più opzioni sul nuovo modello costituzionale ci saremmo potuti
interrogare sul futuro. Sarebbe stato utile provare a simulare, per meglio
scegliere, le conseguenze attese da una riforma di tale portata. Lo si poteva
trasformare in un progetto culturale per l’Italia, in un auspicato
riavvicinamento alla politica, e viceversa.
Ma non ho visto il coraggio di volare alto, di spiegare ai cittadini quel che serve per riqualificare sia la composizione che le funzioni delle camere, nel quadro di un ordinamento nuovo e ben coordinato.
Ma non ho visto il coraggio di volare alto, di spiegare ai cittadini quel che serve per riqualificare sia la composizione che le funzioni delle camere, nel quadro di un ordinamento nuovo e ben coordinato.
Ho cercato novità nei ragionamenti
proposti, offrendo le mie riflessioni, per quel che valevano. Ma nella rincorsa
al consenso elettorale la strategia comunicativa usata dal Governo è fatta di
pensieri mignon, di 140 caratteri, strutturalmente estranei alla competenza,
all’esperienza e ai saperi specialistici. Mi pare che l’obiettivo della riforma
del Senato sia altrove e miri prevalentemente a consolidare una governabilità
con tenui contrappesi a scapito della partecipazione diretta dei cittadini
nella scelta dei loro rappresentanti. Perché, ad oggi, il risultato delle
riforme costituzionali ed elettorali in cantiere è un Senato di cooptati dalle
segreterie di Partito e una Camera di nominati. Il cittadino non c’è più.
Voglio essere chiara: si potrebbe anche discutere, per assurdo, una simile
soluzione, se i criteri di scelta per cooptare o nominare fossero quelli che
valgono in alcune tecnocrazie, le cui economie corrono alla velocità superiore
al 5% di crescita da almeno vent’anni.
Il mio voto di astensione è stata dettato
da questo disagio e da tre motivi: il primo riguarda il contesto generale in
cui si sono svolti lavori. Di scarso ascolto e di linguaggio inadatto a un
momento tanto importante. Si è parlato di «allucinazioni» e «professoroni», con
un sentimento «di sufficienza verso accademici ed esperti politicamente
impegnati». Il linguaggio deriva dal pensiero e gli illustri studiosi di storia
politica presenti in Senato mi insegnano che l’anti-intellettualismo è un
indicatore di crisi culturale e civile per un sistema liberaldemocratico.
Il secondo motivo riguarda il metodo
utilizzato, troppo condizionato da pressioni esterne, come riconosciuto ieri da
uno dei relatori, e dalla disciplina di partito, con cui si sono dettati
contenuti, paletti e tempi, decisi fuori dall’aula. È un metodo sbagliato
perché non si può condurre un esperimento che presuppone libera condivisione
democratica senza la disponibilità a esaminare davvero e analiticamente i
risultati che questo esperimento è destinato a produrre. Se si sbaglia il
metodo nel fare un esperimento, i risultati saranno inutilizzabili. Quando va
bene.
Il terzo motivo riguarda il progetto. Gli
interventi ascoltati e i miei colloqui con i colleghi dell’emiciclo, mi fanno
concludere che quello in esame è un progetto pasticciato e frettoloso,
decontestualizzato rispetto ad altre riforme. E’ un progetto che non è in grado
ora di indicare l’esito, l’equilibrio, la visione del nuovo assetto
costituzionale che stiamo costruendo.
Non mi convincono le motivazioni a sostegno
di un Senato non elettivo, le scelte sulle funzioni assegnate a questa Camera,
la mancata riduzione del numero dei deputati, l’incertezza circa le garanzie di
bilanciamento dei poteri e circa l’effettività del pluralismo della futura
rappresentanza parlamentare. Non mi convince come è stata affrontata la
questione dell’elezione del Presidente della Repubblica e la mancata ricerca di
un metodo per acquisire al nuovo Senato «personalità abituate a disegnare le
frontiere del mondo», che sarebbero utilissime in queste contingenze economiche.
La distanza con cui parte dell’aula ha
accolto la proposta di rafforzare nel nuovo Senato le competenze culturali,
accademiche o in generale espressione di eccellenze internazionalmente
riconosciute nei diversi settori dell’attività umana, utili per inquadrare le
sfide mondiali che il Paese dovrà affrontare negli anni a venire, mi ha
chiarito le complessità da risolvere nel perseguire prospettive comuni
d’innovazione.
La riforma costituzionale è auspicata da
tutti. Essa deve garantire i futuri cittadini e non essere piegata alle
convenienze dell’oggi. Per questo ho espresso un voto di astensione che in
Senato equivale a contrario, perché nel suo piccolo, sia un segnale per i
cittadini e per i colleghi dell’altro ramo del Parlamento, affinché i loro
lavori possano essere più sereni, autonomia e positivi. Questa è la prima
lettura, i costituenti ne vollero quattro, c’è ancora molta strada da fare. Per
migliorare.
Elena Cattaneo - Senatrice a vita
…e le molte altre che potranno essere
fatte solo quando
gli italiani si renderanno conto che il cambiamento vero deve partire da
loro!!!
Se volete, dite la Vostra
qui sotto!!!
gba
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