Senza
Stato…
Stato…
Cucchi, tutti gli
incredibili errori
Domiciliari mancati e divieti alla famiglia. I militari dell’Arma scrissero che era nato in Albania
ed era senza fissa dimora.
ROMA
La sentenza di assoluzione è il nuovo anello della catena di eventi
relativi alla morte di Stefano Cucchi, non ancora l’ultimo. Altri se ne
aggiungeranno, con il ricorso in Cassazione e i nuovi sviluppi giudiziari. Per
adesso la Corte d’assise d’appello ha ritenuto insufficienti le prove raccolte
contro tre guardie carcerarie e tre infermieri (per la seconda volta) e sei
medici (ribaltando il giudizio di primo grado), dopo un’indagine che forse
poteva essere condotta diversamente e di un’impostazione dell’accusa cambiata
più volte in corsa.
Tuttavia
le cause della drammatica fine di quel giovane entrato vivo e uscito
cadavere dalla prigione in cui era stato rinchiuso risalgono a comportamenti
precedenti a quelli finiti sotto processo, responsabilità di strutture statali
che non sono mai state giudicate. Fin dalla sera dell’arresto di Cucchi, 15
ottobre 2009. Lo sorpresero con qualche dose di erba e cocaina, lo
accompagnarono in una caserma dei carabinieri e Stefano ha cominciato a morire
lì, prima stazione di una via crucis dalla quale non s’è salvato.
Nel verbale d’arresto i
militari dell’Arma scrissero che Cucchi era «nato in Albania il
24.10.1975, in Italia senza fissa dimora»; peccato che fosse nato a Roma in
tutt’altra data, e che l’abitazione in cui risultava ufficialmente residente
fosse appena stata perquisita, senza esito, alla presenza sua e dei genitori.
Evidentemente il verbalizzante aveva utilizzato, sul computer, il modello
riempito in precedenza con i dati di un albanese, senza preoccuparsi di
modificarli: una sciatteria che ebbe conseguenze fin dalla mattina successiva,
visto che il giudice che convalidò l’arresto negò i domiciliari per la «mancanza
di una fissa dimora risultante con certezza dagli atti». Fosse tornato a casa,
sia pure da detenuto, probabilmente Stefano sarebbe ancora vivo.
Incredibile, ma vero. Nello
stesso provvedimento venne anche scritto che «il prevenuto, interpellato,
dichiara di non voler dare notizia del suo avvenuto arresto ai propri
familiari»; in realtà i genitori l’avevano visto quasi in diretta, perché dopo
il fermo e la perquisizione i carabinieri gliel’avevano comunicato. E al papà
che chiedeva se dovesse avvisare l’avvocato, risposero che non c’era bisogno,
avevano già provveduto loro. La mattina dopo, però, Stefano non trovò in aula
il difensore di fiducia che voleva, ma uno d’ufficio.
Quel giorno, nei sotterranei
del tribunale, Cucchi è stato picchiato come risulta dalle stessa sentenza
che, in primo grado, non era riuscita a individuare le prove per condannare i
responsabili (in quella d’appello si vedrà, ma è verosimile che sia avvenuta la
stessa cosa). La morte del trentenne però - che certamente aveva un fisico
gracile ma sano, tanto che poche ore prima di finire in gattabuia era stato
nella palestra che frequentava regolarmente - non dipende solo dalle botte.
È dovuta al viavai tra il
carcere di Regina Coeli (dove a un medico che aveva constatato i segni delle
percosse disse che era caduto dalle scale, tipica giustificazione dei detenuti
che non si fidano di denunciare gli aggressori) e l’ospedale dove si decise di
non farlo restare per evitare i piantonamenti, fino al ricovero nel reparto
penitenziario del Pertini: un pezzo di carcere trasferito dentro un
policlinico.
Anche qui si sono susseguiti
eventi che hanno contribuito alla tragica fine di Stefano: l’assurdo
divieto per i genitori che non solo non poterono incontrarlo prima di ottenere
il permesso del giudice - e siccome c’era di mezzo il fine settimana, il via
libera arrivò solo il giorno della morte -, ma per loro era vietato anche
ricevere informazioni sul suo stato di salute. Avevano avuto la comunicazione
del ricovero, ma era impossibile conoscerne il motivo: una regola talmente
incredibile che dopo la morte di Stefano fu cancellata dalla burocrazia
penitenziaria.
In quei giorni di isolamento
- con papà e mamma lasciati dietro una porta blindata, ai quali fu concesso
solo di lasciare un cambio per il figlio, rimasto però integro perché nessuno
si preoccupò di aiutarlo a cambiarsi visto che non si poteva muovere dal letto
- Cucchi chiese inutilmente di parlare col suo avvocato o con un assistente del
centro per tossicodipendenti che frequentava in passato. Richiesta che non è
mai uscita dal chiuso dell’ospedale Pertini, nonostante fosse annotata sul
diario clinico, visto che per quel motivo Stefano rifiutava il cibo e le cure.
Con la calligrafia ormai malferma per lo stato di sofferenza in cui versava,
aveva perfino scritto una lettera all’operatore sociale, per chiedergli aiuto:
qualcuno la spedì dopo che era morto.
Per tutta questa incredibile catena di fatti e misfatti, e altri ancora, Stefano Cucchi «ha concluso la sua vita in modo disumano e degradante», come scrisse il magistrato Sebastiano Ardita, all’epoca funzionario dell’amministrazione carceraria, nella relazione ispettiva del dicembre 2009. Cinque anni dopo quella fine è rimasta senza colpevoli, ma il problema non è certo - o non solo - l’ultima sentenza.
Per tutta questa incredibile catena di fatti e misfatti, e altri ancora, Stefano Cucchi «ha concluso la sua vita in modo disumano e degradante», come scrisse il magistrato Sebastiano Ardita, all’epoca funzionario dell’amministrazione carceraria, nella relazione ispettiva del dicembre 2009. Cinque anni dopo quella fine è rimasta senza colpevoli, ma il problema non è certo - o non solo - l’ultima sentenza.
Giovanni
Bianconi (Ansa)
2
Novembre 2014
…non si saprà
mai
chi è stato!!!
Purtroppo questa
tragica verità non ammorba solo il processo Cucchi ma tutto il vivere di
questo Paese che è vittima della sua “cultura dominante” dove è possibile tutto
ed il contrario di tutto senza che mai nessuno ammetta i propri errori e paghi
per i propri errori.
Il Presidente
della Repubblica rende una testimonianza, al processo sui rapporti Stato Mafia,
che giudicare ridicola risulta essere un eufemismo…e tutti plaudono.
Il Presidente
del Consiglio nomina Ministro degli Esteri un personaggio che il 31 Gennaio
2014 aveva dichiarato:
http://nonleggerlo.blogspot.it/2014/10/renzi-al-governo-solo-se-vince-le.html
e tutti renzianamente plaudono.
Il Presidente
del Consiglio nei giorni scorsi cita come esempio di imprenditorialità da
seguire il proprietario di Monclair, Remo Ruffini, che dopo il servizio di
Report di ieri sera dovrebbe, insieme al ciarlatano, emigrare in Moldavia, paese che ha il 90% dei bambini orfani di genitori
vivi ma emigrati, dove ci sono imprenditori italiani che dichiarano senza alcun
pudore “Sì produciamo qui, non ce ne
frega un cazzo dei lavoratori italiani”.
A Genova vengono
premiati impiegati e dirigenti preposti alla salvaguardia dell’ambiente…il
sindaco passa il week end a Courmayeur…mentre la città cerca di uscire dal
fango dell’ennesima alluvione.
A Roma gli
operai Thyssen vengono caricati, senza motivo, durante una civile
manifestazione e neanche le eloquentissime immagini ed i filmati fanno si che l’inutile
Alfano vada a fare altro…possibilmente in Moldavia.
Potrei
proseguire all’infinito su tutti i temi possibili ed immaginabili che sono uniti
da un unico tragico filo conduttore…questo è uno stato senza stato votato
all’individualismo becero e profondamente ignorante e Gianni Tonelli ne è la
conseguente espressione http://www.huffingtonpost.it/2014/10/31/sap-cucchi-twitter_n_6083526.html
Tutto questo
dipende anche da noi. Gba
Se volete, dite la Vostra qui sotto!!!
gba
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