domenica 4 luglio 2010

Stare meglio con se stessi e con gli altri...

Come si può


«star meglio»
rinnovando forme e regole del sapere


 


A che cosa serva la filosofia? E' la disciplina dotata dello statuto più incerto. Già l'etimo della parola invita a stare sul vago. Com'è ben noto, filosofia significa «amore del sapere». Più sulle generali di così davvero non si potrebbe stare. Che cosa è estraneo infatti ai confini del sapere? Sostanzialmente nulla. E quali, di conseguenza, saranno le competenze del filosofo? Forse l'universo mondo?



Nei momenti di crisi come quello attuale viene giocoforza interrogarsi intorno alle fondamenta per vedere se tengano o meno.


 


Ed è quanto molto proficuamente ci propone di fare Ermanno Bencivenga nei suoi due più recenti volumi, La filosofia come strumento di liberazione edito da Raffaello Cortina e L'etica di Kant. La razionalità del bene pubblicato da Bruno Mondadori. Questi due libri sono strettamente connessi l'uno all'altro ed evidenziano il tessuto profondo di una ricerca comune.


 


Bencivenga riprende, relativamente all'interrogativo circa lo scopo della filosofia, un modello antico, quello della buona vita. Tuttavia, al contrario di Stoici ed Epicurei, egli non ritiene che la buona vita coincida con una vita che va condotta rifacendosi a un modello razionale dell'universo al quale ci si dovrebbe adeguare. L'insegnamento kantiano svolge infatti nella prospettiva di Bencivenga un ruolo fondamentale, e ci conduce dall'antico al moderno, e cioè in prossimità della nostra condizione storica e culturale.


 


Bencivenga, rifacendosi largamente al suo maestro Immanuel Kant, si fa sostenitore di una concezione «deontica» della filosofia, la quale è sempre guidata da un orizzonte normativo, da un obbligo morale. La filosofia di Kant nel suo complesso è infatti percorsa da un intendimento etico che ne pervade anche il momento conoscitivo e teoretico. L'uomo che Kant ci presenta è per altro un soggetto conflittuale che va armonizzato; le stesse facoltà dell'animo sono ai suoi occhi in contrasto l'una con l'altra.


 


In questo quadro la filosofia svolge una funzione liberatoria. E non può sottrarsi a un compito critico. Non bisogna infatti arrestarsi dinanzi alla certezze apparentemente inoppugnabili, ma è necessario spingere costantemente l'interrogazione sino agli estremi. E perché mai andare così avanti? La risposta è semplice ma convincente. Per realizzare una vita umana migliore. La filosofia ha dunque un carattere non solo critico ma sperimentale.


 


Esplora percorsi inediti per immaginare nuovi e più armonici scenari della convivenza umana. Il pensiero speculativo assume così un aspetto ludico, giocoso. Il filosofo è un bricoleur che non gioca con le tessere del Lego ma con i pensieri. E come il bimbo che gioca con il Lego smonta quanto prima aveva messo insieme, così pure il filosofo non lascia nulla d'intatto sul suo cammino, ma mette in questione in modo irriverente usi e abitudini consolidate. A tutto quanto è autorevole viene da lui richiesta la patente che legittima la sua autorità.


 


A questo versante critico della ragione filosofica si affianca quello inventivo. Abbiamo a che fare con una ragione creativa che inventa le regole e prefigura i mondi. Ma proprio questa filosofia che approfitta sempre più dell'immaginazione (come del resto va sempre più facendo anche la scienza), non si comporta in questo modo semplicemente per soddisfare un istinto ludico ma per realizzare il proprio compito innovativo.


 


Il pensiero filosofico scandaglia inventivamente gli orizzonti del possibile. Evita così anche di cadere in trappole antiche come quella di dividere la filosofia dalle scienze esatte. E' così un pensiero che non intende chiudersi su se stesso, correndo il rischio di restare prigioniero della propria ombra, di rinchiudersi entro confini angusti di desolante povertà.


 


Filosofare significa dunque interrogare a tutto campo ogni aspetto del vivere o del sapere in tutti i suoi ambiti e le sue sfere, dalla scienza, alla morale alla società. Ma significa anche, come si diceva, far proprio un atteggiamento inventivo, volto alla scoperta e al rinnovamento del sapere. Vuol dire costruire nuovi spazi di indagine, nuove forme della conoscenza.


 


Secondo questa accezione la filosofia non è di esclusiva competenza dei filosofi di professione, dei professori di filosofia. Riguarda e interessa chiunque. Essa costituisce una grande narrazione, una favola molto sensata che aiuta a unire gli uomini. E' una sorta di moderno, razionale mito fondante al quale tutti possono cooperare. E' un racconto che tiene lontane la violenza e la sopraffazione. Che hanno il sopravvento quando il senso delle cose viene meno e resta soltanto il terrore dell'ignoto. Quando non siamo più in grado di narrarci. Quando smettiamo di voler capire chi siamo


 


                                 03 Luglio 2010     Federico Vercellone  La Stampa



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