Quando vincono
le buone notizie
Che sollievo! È quello che abbiamo provato per il salvataggio dei 33 minatori cileni rimasti intrappolati per 60 giorni nelle viscere della terra. Ma anche, ad un secondo pensiero, per l’attenzione provocata nei media, con alti indici di ascolto, da una buona notizia: caduta nel bel mezzo del parossismo innescato dal nefando delitto che ha avuto come vittima Sarah, la ragazza di Avetrano.
Il crimine, si sa, è una irriducibile passione mediatica nazionale. Non c’è altro paese che dedichi altrettanto spazio, attraverso i dibattiti di giornali e televisioni, alle efferatezze della cronaca nera. Quando non basta la stretta attualità, si ripropongono, aggrappandosi a pseudo notizie e futili pretesti, fatti di sangue dei quali si sarebbe persa memoria.
Dove si tratti dell’onesta testimonianza di un diffuso malessere nazionale o di un voyeurismo callidamente indotto, è materia di sociologi e psicologi. Certo non dovrebbe considerarsi ineluttabile questo appiattimento sulle manifestazioni più sconfortanti dell’agire umano (e mettiamoci in coda le non edificanti rissosità che contraddistinguono la vita politica, le scempiaggini e le volgarità che imperversano negli spettacoli di intrattenimento televisivo).
La storia della miniera di Atacama sta a dimostrare che è possibile e fruttuosa una immissione di aria pulita nelle rappresentazioni irrespirabili che ci vengono fornite del mondo in cui viviamo. Senza indulgere con questo a edulcorate, pacificanti considerazioni.
Alla base di Esperanza si sono registrate, da parte dei minatori e dei soccorritori, toccanti prove di coraggio e solidarietà, perfino di attaccamento alla comunità nazionale, che ci riconciliano con la specie umana. Abbiamo apprezzato le risorse tecnologiche e l’efficienza progettuale che hanno permesso di condurre a buon fine le operazioni di soccorso. Ma non si possono dimenticare le condizioni di lavoro degli uomini del sottosuolo, le vittime, nello stesso Cile, di altri precedenti disastri.
Può infastidirci il corteggiamento mediatico che rischia di «guastare» gli scampati, l’eventuale sfruttamento politico dell’impresa. Resta tuttavia, al netto, la positiva conclusione della vicenda. Si tratta ovviamente di un caso eccezionale, che ha suscitato una speciale emozione perché sfiorato, fino all’ultimo, dall’ala della tragedia. Eppure lascia sospettare che tanta gente sia disposta ad appassionarsi, non solo per l’orrore e l’insipienza, ma anche per la quotidianità delle «buone notizie».
17 Ottobre 2010 - La Stampa
Pane al pane - Lorenzo Mondo
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