ADESSO TOCCA
AI MENO
POVERI…
IL LAMENTO DEL MEDIO ALTO
Mi chiamano Medio Alto, ma il mio soprannome è Rintracciabile. Sono quello che non può nascondersi, quello che paga. Anche stavolta. Il governo della Libertà mi impone tasse svedesi per continuare a fornirmi servizi centrafricani. E io le verserò fino all’ultimo centesimo, senza trucco e senza inganno, da vero scandinavo. Poi però rimango un italiano e allora mi si consenta di essere furibondo.
Punto primo. Mi sono scocciato di pagare per il funzionamento di una giostra su cui non esercito alcun controllo. Il debito lo avete fatto voi e lo saldo io. Ma avrò almeno il diritto di pretendere che la smettiate di indebitarvi? A quanto pare, no. Io vorrei che i miei soldi - frutto del lavoro quotidiano e non di una eredità o di un gratta e vinci servissero a finanziare le scuole e gli asili-nido, a umanizzare le carceri, a ripulire gli ospedali, a pagare gli stipendi degli insegnanti, dei poliziotti e dei tanti impiegati che svolgono con impegno la loro missione di servitori dello Stato. Invece so già che verranno gettati fra le fauci del Carrozzone Pubblico, che se li divorerà in un sol boccone per poi rivoltarsi famelico contro di me, chiedendomi altro cibo. So già che la politica, cioè quell'accozzaglia di affaristi senza ideali che ne usurpa il nome, li userà per tenere in piedi gli enti inutili, le baracche elettorali, le torme di parassiti che campano da decenni alle spalle dei contribuenti. Non è dunque il prelievo in sé a indignarmi. Ma la sua assoluta inutilità. In attesa di riforme strutturali, che dopo vent'anni di chiacchiere sono ancora e sempre «allo studio», i miei soldi serviranno solo a perpetuare un sistema che non mi piace, a garantire la pace sociale dei furbi, non quella dei poveri.
Punto secondo. Accetto di farmi spremere, ma non di farmi prendere in giro. Quelli che vengono contrabbandati come tagli alla politica sono in realtà tagli ai servizi degli enti locali, che si rivarranno sui cittadini, cioè di nuovo, sempre e soltanto su di noi.
Punto terzo. Trovo giusto che, in tempi di crisi, chi guadagna meno di me non contribuisca allo sforzo (anche se poi lo fa, con i tagli alle tredicesime e alle pensioni). Mentre considero una vergogna che il collega che guadagna quanto me, ma ha cinque figli a carico, non abbia diritto a uno sconto. Il padre di una famiglia numerosa che incassa 90 mila euro lordi l'anno (circa 4000 netti al mese) non è un Super Ricco e nemmeno un Medio Alto. E' un Medio Impoverito che deve già versare più degli altri per i medicinali e le tasse scolastiche dei figli, e che da domani non avrà più neanche i mezzi per tentare di scuotere, con i suoi consumi, l'encefalogramma piatto dell'economia. Mi sembra incredibile che la Chiesa, sempre così lesta a dire la sua su gay e moribondi, non abbia saputo imporre a un governo di sepolcri imbiancati la difesa reale della famiglia, accontentandosi di conservare intatti, anche in questa tormenta, i propri scandalosi privilegi fiscali.
Ultimo punto (ma è di gran lunga il primo). Mi sta bene che i poveri non paghino. Ma perché non pagano neanche i ricchi veri? A Lugano le banche hanno dovuto mettere fuori i cartelli: cassette di sicurezza esaurite. Segno che nei giorni scorsi un esercito di compatrioti ha sfondato le frontiere per andare a nascondere del denaro. Sono i signori del secondo e del terzo Pil (il nero e il mafioso). Quelli con il Pil sullo stomaco. Gli Irrintracciabili. Scommettiamo che il più facoltoso di loro dichiarerà al fisco 89.999 euro? Li disprezzo. Persino più dei politicanti. Giuro che d'ora in avanti non avrò più pietà. Chiederò scontrini a tutti su tutto. E se mi diranno: «Ma così, dottore, non posso più farle lo sconto», li andrò a denunciare. Poiché sono l'unico che paga, in questo accidenti di Paese, voglio cominciare a togliermi qualche sfizio anch'io.
MASSIMO GRAMELLINI – La Stampa
13 Agosto 2011
…INIQUI
&
IPOCRITI
LA SCONFITTA DEL CAVALIERE
Non tanto il Berlusconi di oggi, che come abbiamo detto in qualche modo se la caverà ancora per un po’: ma il Berlusconi del ’94, quello della discesa in campo, quello del meno tasse per tutti, del più società e meno Stato, del basta con la politica politicante, del basta con le mani dello Stato nelle tasche dei cittadini, quello della rivoluzione liberale, del nuovo Rinascimento italiano.
Non pensi il lettore che queste siano parole di un accanito anti-berlusconiano. Al contrario, immagini per ipotesi che a pronunciarle sia un elettore di Berlusconi. Mi metto nei panni, infatti, di uno di quei tanti italiani che hanno sperato che l’imprenditore Silvio Berlusconi avrebbe finalmente impresso una svolta a un Paese rallentato, quando non paralizzato, dalla vecchia partitocrazia. Ci ha sperato nel ’94, il giorno in cui il nostro connazionale più vincente del momento si presentò in tv dicendo «l’Italia è il Paese che amo». Ri-sperato nel 2001, quando a Berlusconi venne concessa una prova d’appello nella convinzione che poteri ostili – la stampa, la magistratura, la finanza dei salotti buoni – gli avevano impedito di governare sette anni prima. Ri-ri-sperato nel 2008, quando il fallimento di una coalizione troppo eterogenea (quella guidata da Prodi) aveva indotto tanti elettori a consegnare nelle mani di Berlusconi una disperata delega in bianco.
Che cosa deve pensare oggi questo elettore di centrodestra? Da quella discesa in campo sono passati diciassette anni, di cui dieci con Berlusconi presidente del Consiglio, e: 1) le tasse non sono mai state alte come adesso; 2) la presenza dello Stato non è mai stata invadente come adesso; 3) le piccole e medie imprese, cioè il mondo più antropologicamente berlusconiano, non sono mai state in sofferenza come adesso; 4) non ci saranno più le correnti dei vecchi tempi democristiani, ma in confronto alla maggioranza di oggi la Dc di allora appare unita come un partito comunista della Bulgaria.
Intendiamoci bene. Sarebbe ingiusto dare a Berlusconi tutte le colpe di uno scenario tanto tetro. La crisi è mondiale. Questo governo ci ha messo del suo per aggravarla: ma è mondiale.
Però Berlusconi con la manovra di ieri ha perso una grandissima occasione, l’ennesima, per mostrare quella diversità che aveva promesso agli italiani entrando in politica. Le sue misure sono quelle della vecchia politica. L’imposta di solidarietà non colpisce affatto i «super-ricchi», come qualche sciagurato ha detto: colpisce il ceto medio, ma soprattutto colpisce quel ceto medio costretto all’onestà dall’essere lavoratore dipendente.
Lascia invece nella loro arrogante impunità i veri super-ricchi, che sono coloro ai quali questo sistema permette e permetterà ancora di evadere mantenendo la coscienza in un sonno beato. Sempre ipotizzando che chi scrive sia un elettore di Berlusconi, mi chiedo se non debba sentirsi deluso da un centrodestra che si è tanto riempito la bocca con i valori della famiglia e della Chiesa (la quale, purtroppo, ha permesso che se la riempisse). Mi chiedo insomma perché un lavoratore del ceto medio con una famiglia numerosa non abbia alcuno sgravio fiscale, quando in Francia chi ha quattro figli non paga neppure un centesimo di quella che per noi è l’Irpef.
Quanto ai tagli dei costi della politica, il premier e il suo governo sono stati addirittura beffardi. Ne hanno annunciato per 8,5 miliardi di euro. Ma poi, quando li hanno illustrati agli enti locali, s’è visto che non sono tagli alla casta, ma ai servizi, e quindi ai cittadini.
Ancora una volta insomma a dare l’oro alla Patria saranno i soliti tartassati. Si dirà – forse sarà lui stesso a dirlo – che Berlusconi poverino, non l’hanno lasciato governare. Che c’è sempre qualcuno che gli impone una linea che non è la sua. E’ un vecchio ritornello che non funziona più. Anche se così fosse, infatti, nulla toglierebbe alla sconfitta personale di un uomo che aveva promesso decisionismo ed efficienza, che doveva far funzionare il consiglio dei ministri come i suoi consigli di amministrazione e il Paese come una delle sue aziende.
L’altro ieri Tremonti, aprendo il suo incontro con i colleghi parlamentari, aveva detto che siamo di fronte a un caso di eterogenesi dei fini. Si riferiva ad altro. Ma nulla è più «eterogenesi dei fini» dell’avventura politica di un uomo che comincia annunciando la riduzione delle tasse e finisce aumentandole; che comincia mostrando come modello il successo delle sue aziende e finisce con l’Italia sull’orlo del fallimento.
MICHELE BRAMBILLA– La Stampa
13 Agosto 2011
Meditate
gente
meditate.
Se non ora
quando
???
Se vi va commentate qui sotto!!!
gba
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