martedì 22 ottobre 2013


Ci sono colpi
e colpi…

Il colpo segreto
di Maradona

Pubblichiamo il testo della ’Buonanotte’
data domenica sera da Massimo Gramellini
ai telespettatori di “Che tempo che fa” su RaiTre.

Il Maradona che ho conosciuto alla fine degli anni Ottanta era più bravo a giocare che a vivere. O forse soltanto quando giocava sembrava vivere davvero. La storia che voglio raccontarvi parla proprio di uno di quei momenti e si è talmente impressa nella memoria che molti anni dopo finì per ispirarmi un Buongiorno e addirittura una pagina del mio primo romanzo, che con il calcio non c’entrava niente. 

Era il mezzogiorno di un sabato, alla vigilia di qualche partita importante, e Maradona, tanto per cambiare, non si era presentato agli allenamenti per tutta la settimana. Il povero addetto stampa del Napoli aveva esaurito la scorta di bugie: la foratura della gomma, la visita medica, l’influenza contagiosa. Il giovedì, proprio quando veniva dato a letto con 40 di febbre, Maradò (come lo chiamavamo tutti) era stato beccato in discoteca nel cuore della notte con un bottiglia vuota di champagne in equilibrio precario sulla testa.

Ma il sabato mattina si presentò al campo di allenamento. Ovviamente in ritardo, e scortato dal consueto cespuglio di microfoni e taccuini. Uno dei taccuini lo tenevo in mano io, inviato di un giornale del nord e quindi già solo per questo sospettabile di pregiudizi negativi nei suoi confronti. In realtà quel genio del bene e del male mi stava simpatico come un fratello matto. Forse perché, nonostante fosse strafottente e distruttivo, in mezzo a tanti manichini sembrava quasi una persona. 

Quel sabato, dunque, al termine dell’allenamento, Maradona non seguì i compagni negli spogliatoi, ma rimase sul campo per allestire uno spettacolo destinato ai giornalisti. Dribbling tra i birilli e palleggi. Era il suo modo di vendicarsi di noi. Scrivevamo ogni giorno che era finito, che non si reggeva in piedi? Ebbene, guardatemi, pareva dire. Guardatemi e tacete. 

A un certo punto esagerò. Sistemò il pallone sulla linea di fondo campo. Ma non all’altezza della bandierina del calcio d’angolo: da lì sono buoni tutti (insomma, alcuni…). Lui la mise molto più vicino alla porta: nel punto in cui la linea di fondo interseca l’area piccola del portiere.
  
Da lì la porta non riesci a vederla neanche se sei strabico. Puoi vedere solo la parte esterna del palo, ma è talmente vicina che ti sembra un muro: fare gol da quella posizione non è difficile. È impossibile. Bisognerebbe violare una ventina di leggi fisiche. Colpire il pallone con un tiro che a metà del suo breve tragitto si pieghi verso l’esterno per evitare il palo e poi, ma immediatamente, compia una conversione di novanta per infilarsi in porta.

Maradona calciò il pallone e lo infilò in porta. Non una, ma cinque volte. Perché si capisse che la prima non era stato un caso.
  
Io lo guardavo a bocca aperta, e non ero il solo. Seduto a bordo campo, in adorazione, c’era un ragazzo delle squadre giovanili del Napoli. Era stato lui a passare a Maradona i cinque palloni che, uno dopo l’altro, quel satanasso aveva messo sulla linea di fondo campo e da lì in rete. 

Pensando di non averci ancora umiliato abbastanza, Maradona scavalcò la rete di recinzione che lo separava dai giornalisti e ci raggiunse. Appena si accorse che dalla tasca di un mio collega spuntava un mandarino, glielo chiese in prestito. Se lo appiccicò al piede sinistro e cominciò a palleggiare per cinque, dieci, venti minuti: tutto il tempo dell’intervista. Rispondeva alle domande e intanto il mandarino andava su e giù, come se fosse attaccato a un cordino invisibile. 

A un certo punto sentimmo dei latrati provenire dal campo. Era il ragazzo delle squadre giovanili che da venti minuti stava provando a imitare il famoso tiro dalla linea di fondo. Ma i suoi tentativi morivano tutti regolarmente contro il palo: questo spiegava i latrati di disperazione.
  
Fu allora che Maradona, con un ultimo colpo di tacco, parcheggiò in terra il mandarino e tornò in campo. Si avvicinò al ragazzo e gli disse: Non ti preoccupare, alla tua età non ci riuscivo nemmeno io. Adesso ti insegno”. Il più famoso calciatore del mondo si inginocchiò davanti al ragazzo, gli afferrò un piede e lo accostò al pallone in un certo modo: “Ecco, devi colpire proprio qui.”
  
Poi, come se niente fosse, tornò in mezzo a noi, risuscitò il mandarino e ricominciò a parlare e a palleggiare. Ma non a lungo, perché fummo interrotti da un urlo: Goool.  

Alla fine il ragazzino ce l’aveva fatta. Era stato davvero bravo e tenace: il talento, se non si appoggia al carattere, conta meno di zero.  
Quel ragazzino si chiamava Gianfranco Zola e un giorno anche lui avrebbe insegnato a un altro ragazzino il colpo segreto di Maradona.  

Questa settimana intrisa di rabbia e rassegnazione meritava un congedo all’insegna della speranza. Una storia capace di ricordarci che andrà tutto bene, alla fine e, se non andasse tutto bene, vuol dire che non è ancora la fine.  
Buonanotte. 

P.S. Mi si fa giustamente notare che all’epoca di questo episodio Zola non faceva parte delle giovanili, ma era una giovane riserva della prima squadra. Mi ha ingannato il ricordo di averlo visto giocare per la prima volta nella Primavera del Napoli come fuoriquota (aveva 23 anni). Ma non credo che questo lieve scarto temporale (23 anni anziché 18-20) procuratomi dalla memoria modifichi la veridicità e il senso della storia che si svolse sotto i miei occhi.
  
Rispondo anche a chi si è irritato nel vedere un personaggio “maledetto” come Maradona portato a esempio positivo. Il Maradona del mio racconto è il calciatore, non l’uomo. O meglio - lo scrivo nelle prime righe - l’uomo che veniva fuori soltanto quando faceva il calciatore. I grandi campioni, come gli eroi dei poemi epici, rimangono nel nostro immaginario per i loro comportamenti sul campo di gioco o di battaglia. Non roviniamoci quel poco di purezza che i gesti sportivi riescono ancora talvolta a trasmetterci. Il mio Maradona è solo un grande calciatore, fuori dal mondo e dal tempo. Il resto, in questa sede, non mi interessa
Massimo Gramellini
La Stampa 21 Ottobre 2013

…e non tutti
meritano
il primo premio…

Ma occorre dire forte e chiaro che se neanche a Maradona va perdonato il gesto dell’ombrello da lui ce lo si aspetta…mentre da Fassina, Brunetta, Alfano ed i politici tutti o quasi, dalle migliaia di inutili funzionari e dirigenti…uniti da stipendi impronunciabili e benefici vergognosi…data la pochezza di quanto riescono ad esprimere… ci si aspetterebbero due cose…il silenzio e le dimissioni per comprovata incapacità.

E’ ora di capire che questo Paese ha bisogno di bravi MAESTRI non di inutili ciarlatani, molto spesso incompetenti e disonesti, che con i loro colpi hanno distrutto il Paese proponendo la cultura che chi vuole semplificare definisce berlusconismo. Maradona è stato un Maestro di calcio, non di vita gli altri, ognuno faccia il suo lunghissimo elenco, sono patetici ipocriti diseducatori… ed il risultato è sotto gli occhi di tutti.

…ma almeno chi
saccentemente
da i voti
ai colpi degli altri
prima di giudicare
si faccia un doveroso
esame di coscienza!!!

se volete,dite la Vostra qui sotto!!!

gba

1 commento:

  1. Politici, TV, spettatori, tutta una gran banda di bigotti. Sempre pronti a giudicare e mai ad assolvere, sempre fermi in superficie e mai rivolti all’essenza.
    Senza entrare nel merito delle pendenze di Diego Maradona con il Fisco Italiano, la cosa più interessante che si osserva, è quanto un gesto abbia scatenato il ringhio di dei nostri politici la cui onestà non è esattamente misurabile, quanto li abbia messi subito in modalità “pronti all’assalto”, pur non essendo in grado di dimostrare di essere migliori.
    Come ricordare loro che devono smettere di fingere, che la gente di questo paese ha il fiato sempre più corto ?!! Che i cadaveri che il mare restituisce sulle spiagge di Lampedusa valgono ben di più del “gesto dell’ombrello” !!

    Sembrerà fuori luogo ma voglio stemperare per un attimo lo sconcerto che tutti i giorni la politica ci regala, lasciandoci sempre più spesso senza parole, voglio ricordare un film esilarante, dove con i titoli di testa si raccolgono e presentano tutti i più bei gol del grande “calciatore” Maradona.
    Ecco una dichiarazione che il regista Marco Ponti rilasciò a proposito del suo film, appunto “Santa Maradona”.

    “In una partita con l’Inghilterra, Maradona segnò di mano e riuscì non solo a farla franca, ma anche a prendersi gioco delle regole dicendo che aveva segnato non la sua mano, ma la mano del Signore. I personaggi del mio film vogliono fare anche loro “goal di mano”, in un certo senso trasgredire le regole. Maradona ha fatto il meglio e il peggio, nella vita. Il titolo è una canzone di Manu Chao che mette in contrasto questo personaggio con la parola “santa”. Io preferisco questi contrasti forti, così sono i miei personaggi, positivi e negativi insieme; li definisco nichilisti ottimisti.”

    Margherita Grolla

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