La società
del dio denaro
usato per
produrre denaro.
del dio denaro
usato per
produrre denaro.
La società che ti da
in cambio
del tuo essere,
del tuo essere,
privato di valori,
un apparire virtuale
che il reale consuma.
La società
che tale non è più,
una somma di
individualità,
molto spesso
incapaci di vivere
perché mai educati
alla vita
non del singolo
ma della comunità…
Pretty baby gli amori
disperati delle bambine mascherate da donne
(Concita De Gregorio)
Questa è una
storia normale. Una storia di ragazzine spavalde, cresciute in famiglie
normalmente complicate in un quartiere né bello né brutto, né alto né basso.
«Due belle ragazze, sembrano molto più grandi della loro età. Imbronciate,
aggressive.
La più
grande, durante l’interrogatorio, ha pianto solo quando le hanno detto che le
avrebbero tolto il cellulare ». Ragazze andate a scuola nelle scuole pubbliche,
buone scuole anni fa all’avanguardia didattica, e ancora oggi comunque scuole
consigliabili e consigliate, di quelle in cui si fanno i mercatini e gli scambi
internazionali, la preside è brava, gli psicologi a disposizione, in certe
sezioni gli insegnanti bravissimi.
Una storia
di bambine diventate donne presto, come sempre più spesso succede: il seno
esploso dentro le magliette in prima media, il trucco in classe, il telefonino
sotto il banco, i compagni maschi, bambini di undici anni, spaventati e
attratti da quelle ragazze di mezzo metro più alte di loro che hanno subito
smesso di andare alle loro feste di compleanno perché hanno altro di meglio da
fare il pomeriggio che stare coi bimbetti, hanno i ragazzi con la
moto che le aspettano fuori.
Se avete
figli alle medie sapete di cosa stiamo parlando. Se avete figlie femmine lo
sapete anche meglio. «Alla madre, quando le hanno comunicato che non sarebbe
tornata a casa, sarebbe andata direttamente in comunità, la ragazza si è
rivolta col tono di dare ordini: vai a prendermi i pantaloni e il giubbotto,
almeno. La madre ha eseguito».
Dunque la
storia delle “baby prostitute dei Parioli”, come è stata etichettata con la
segreta ansia di renderla estrema e dunque estranea, bisogna raccontarla da
capo cominciando da qui: dal dire quello che non è. Non è una storia dei
Parioli, quartieri alti di Roma che è facile immaginare popolati da ragazzi
annoiati, viziati, figli di genitori ricchi e distratti per quanto neanche
questo sia sempre del tutto vero. No, ai Parioli c’era solo l’appartamento dove
le due ragazzine incontravano i clienti: un posto preso in affitto da uno degli
uomini, ora in galera, che organizzava per loro gli incontri.
Le due
ragazze, oggi 15 la piccola e 16 compiuti da poco la grande,sono state bambine
e sono cresciute nel quartiere Trieste, fra villa Torlonia via Salaria e via
Nomentana,un triangolo soffocato dal traffico di auto e bus in corsia
preferenziale, bar botteghe e studi medici di media fama e medio prezzo,
vecchie scuole ospitate in edifici di mattoni rossi e bandiere italiche, media
e piccola borghesia del commercio e degli uffici. Nelle scuole medie di
quartiere dove le due bambine sono state in classe insieme, molti ragazzi della
zona di piazza Bologna, un passo dalla Tangenziale est, molti arrivati in treno
a Termini dai paesi della cintura.
Qualcuno dai
Parioli,sì,certo,anche. Ambiente «molto misto», lo definisce uno dei prof.
Molto misto.
È Il triangolo fra l’istituto Alfieri, il liceo Giulio Cesare, il Maria Ausiliatrice che è gestito dalle suore, sì, ma i professori sono laici e non costa tanto la retta, è abbordabile, una famiglia di impiegati se la può permettere. Ci mandano i figli che hanno ripetuto un anno, magari, per provare a farli recuperare. O anche solo perché siano seguiti con più rigore, i genitori pensano questo. Le due ragazzine, compagne di classe alle medie, sono state separate alle superiori: entrambe al liceo classico ma due scuole diverse. Una pubblica e una privata.
È Il triangolo fra l’istituto Alfieri, il liceo Giulio Cesare, il Maria Ausiliatrice che è gestito dalle suore, sì, ma i professori sono laici e non costa tanto la retta, è abbordabile, una famiglia di impiegati se la può permettere. Ci mandano i figli che hanno ripetuto un anno, magari, per provare a farli recuperare. O anche solo perché siano seguiti con più rigore, i genitori pensano questo. Le due ragazzine, compagne di classe alle medie, sono state separate alle superiori: entrambe al liceo classico ma due scuole diverse. Una pubblica e una privata.
I genitori
della più grande,che aveva ripetuto un anno, hanno deciso di separarla
dall’amica e di riservarle un ambiente “protetto”: «È stata una tragedia.
Essere separata dalla sua amica è stato vissuto da lei come una violenza
terribile. Ci sono state liti tremende a casa. Era già molto aggressiva, feroce
col nuovo compagno della madre,è diventata totalmente ostile», racconta una
persona che le vuole bene e l’ha seguita. Famiglia in ansia, in grande
difficoltà con questa figlia sofferente chiusa e ribelle, vedremo tra poco
quanto.
Quindi non
sono i Parioli e loro due, hanno detto a chi le interrogava e le assisteva
nell’interrogatorio, non vogliono essere chiamate né bambine né prostitute: non
si sentono né l’una né l’altra. Gli psicologi forensi hanno scritto nelle loro
relazioni, dopo i colloqui, più o meno così: «L’idea di sé di queste ragazze
corrisponde ad un’età molto maggiore di quella anagrafica. Anche l’aspetto –
l’abbigliamento, gli accessori, i tatuaggi, il trucco – tradisce l’ansia di
apparire adulte. In ogni caso non si percepiscono come vittime di violenza
sessuale, hanno al contrario l’impressione di dominare la situazione. Sono loro
che tengono in pugno le persone che incontrano e a cui chiedono denaro,
pensano. Sono loro che decidono che cosa fare e con chi percepiscono gli uomini
come deboli, ne parlano con disprezzo e sarcasmo, non attribuiscono al fatto di
cedere il corpo in cambio di denaro nessun disvalore. Considerano anzi il fatto
di suscitare desiderio una forma di potere». È un potere, suscitare desiderio.
Una delle
due, la piccola, dice al magnaccia che la rimprovera di non essere andata a un
appuntamento: «Ma che ti credi che mi puoi dire tu cosa devo fare? Mettiamo che
io ho altro da fare, che cazzo vuoi?». Poi, subito, posta su Facebook un
messaggio all’amica: noi due insieme per sempre. Sorrisi, cuoricini, labbra che
baciano l’autoscatto, appuntamento la sera al solito posto. Waiting dawn,
aspettando l’alba. Collezionista di attimi. Società che “organizzano eventi”, si
chiamano così.
I fatti,
allora. Le due bambine sono compagne di classe, a periodi di banco. Fioriscono
splendide. Entrambe non hanno il padre. La madre della più grande, quella che
anni dopo farà seguire la figlia da un investigatore privato dopo averla denunciata
ai servizi sociali per aggressione, dopo le denunce per furto, dopo aver
cercato aiuto come poteva – la madre “buona” dicono i giornali – è impiegata in
un ufficio. Ha un nuovo compagno, che non è il padre di sua figlia: medico di
bel nome, grandi ospedali. Chissà come vanno le cose a casa. La madre della più
piccola, una bambina di spettacolare bellezza,ha un bar nella zona bassa del
quartiere che naviga in pessime acque, molti problemi di soldi, un figlio
minore ammalato.
Le due
bambine si coalizzano. Vivono in grande conflitto con le loro famiglie,
l’adolescenza è alle porte. Le femmine fanno banda contro i maschi, alle
elementari. Sono gli anni, quelli, in cui in una scuola di zona un gruppo di
bambine di otto nove anni forma una banda per accedere alla quale bisogna
superare alcune prove di iniziazione: una di queste consiste nell’inserirsi una
matita, una penna, un oggetto nei genitali.
Alcuni
genitori capiscono,denunciano,diventa un caso, intervengono gli psicologi, la
bambina considerata capo banda fa da capro espiatorio, viene portata via dalla
scuola. Fine della questione. Si passa alle medie, attigue al liceo. Scoppia un
altro scandalo, tenuto legittimamente riservatissimo. Alcune
quattordici-quindicenni organizzano a ricreazione un torneo che si svolge nei
bagni della scuola. Le ragazzine stanno nel bagno, offrono una prestazione di
sesso orale ai maschi che per iscriversi al torneo devono pagare cinque euro.
La gara è a chi conclude più rapporti, a chi fa scemare la fila più presto. La fila
è lunga, ogni aspirante paga cinque euro. Si paga comunque, il rischio da
correre è che arrivi il tuo turno o non arrivi. La vincitrice accolta da
applausi.
Comunque le
gareggianti portano a casa cinquanta euro, anche di più, ad ogni prova. Si
fanno soldi, così. Soldi che a casa non ci sono o non ti danno, soldi per
pagare la ricarica del cellulare e per pagarsi la birra e presto qualcos’altro,
la sera. Di nuovo qualche genitore denuncia, di nuovo intervengono gli
psicologi. Da una relazione del tempo: «Sgomenta l’assenza di pudicizia, di
senso della riservatezza e dell’intimità. Il commercio del corpo considerato la
norma, nessuna censura corre tra i coetanei, solo la presa d’atto di
un’abilità».
Gli adulti
non trovano il varco, non capiscono cosa stia succedendo ai loro figli. Le
più abili tra le figlie diventano celebri nella scuola, e fuori. Spesso le
performances sono filmate coi telefonini, e condivise. Chi è più fragile
soccombe, a volte tragicamente. Chi è più forte avanza.
Tutti sono su Facebook. La vita di relazione virtuale è reale. Le due ragazzine decidono insieme di farsi dei tatuaggi senza dirlo ai genitori, vita reale, li esibiscono nei profili, la cosa più importante, virtuale e reale insieme, per loro. Si mettono in vetrina. Una si fa scrivere sul fianco una scritta in latino, del resto ormai lo studiano. L’altra si fa disegnare un drago che parla di amore disperato.
Tutti sono su Facebook. La vita di relazione virtuale è reale. Le due ragazzine decidono insieme di farsi dei tatuaggi senza dirlo ai genitori, vita reale, li esibiscono nei profili, la cosa più importante, virtuale e reale insieme, per loro. Si mettono in vetrina. Una si fa scrivere sul fianco una scritta in latino, del resto ormai lo studiano. L’altra si fa disegnare un drago che parla di amore disperato.
I maschi
della classe, tredici-quattordicenni, chiedono amicizia, tollerati come
bambini. Entrano a visitare il profilo giovani universitari conosciuti il
sabato sera alle feste di zona, una importante università privata è dietro
l’angolo, gli studenti vengono da fuori Roma, hanno amici più grandi, più
soldi, diversi orizzonti. La violenza, a casa, è la norma. La grande detesta
sua madre, sopporta malissimo il nuovo compagno di lei. La piccola soffre la
mancanza di soldi, non c’è mai un euro per uscire la sera. Dalla relazione
psicologica: «L’aggressività, la violenza, il sesso diventano esperienze più
virtuali che reali.
L’adolescenza
chiama al compito della sessualità. Attraverso la sessualità, si può esercitare
un potere, persino un dominio. Il corpo diventa uno strumento neutro, un
utensile da utilizzare per accedere a ciò che si desidera». Le ricariche. Il
corpo un utensile. Le ragazzine imparano che puoi dare baci e qualcosa di più,
puoi dare quello che ti chiedono e che non ti costa concedere, in apparenza, in
cambio di ricariche al cellulare,
indispensabili per postare i tuoi filmati su Fb. «Mangi all’Hitlon sei ricco, pagami la ricarica almeno, stronzo», si legge nelle intercettazioni. Si filmano di continuo, si fotografano ogni minuto. Vivono sul profilo, dalla vita reale traggono linfa per alimentarlo. Si tatuano insieme, odiano le famiglie insieme, si fotografano atteggiate a donne, insieme. Trovano su Internet, il posto dove passano i giorni chiuse in camera a casa, un luogo: si chiama Bakeca incontri. Dice che devi essere maggiorenne per mettere la tua offerta di sesso online ma non c’è nessun filtro nessun controllo reale. Entrano. Si offrono. Ottengono, certo, immediato successo. Uomini di età le cercano. Loro si scambiano messaggi che dicono «fico, è facile». Qualcuno furbo, criminale, le intercetta. Vede dietro i seni prorompenti, le labbra color rubino, vede nelle calze di pizzo nero dentro le scarpe da tennis due ragazzine. I tatuaggi,le promesse di dannazione e reciproco amore per sempre.
indispensabili per postare i tuoi filmati su Fb. «Mangi all’Hitlon sei ricco, pagami la ricarica almeno, stronzo», si legge nelle intercettazioni. Si filmano di continuo, si fotografano ogni minuto. Vivono sul profilo, dalla vita reale traggono linfa per alimentarlo. Si tatuano insieme, odiano le famiglie insieme, si fotografano atteggiate a donne, insieme. Trovano su Internet, il posto dove passano i giorni chiuse in camera a casa, un luogo: si chiama Bakeca incontri. Dice che devi essere maggiorenne per mettere la tua offerta di sesso online ma non c’è nessun filtro nessun controllo reale. Entrano. Si offrono. Ottengono, certo, immediato successo. Uomini di età le cercano. Loro si scambiano messaggi che dicono «fico, è facile». Qualcuno furbo, criminale, le intercetta. Vede dietro i seni prorompenti, le labbra color rubino, vede nelle calze di pizzo nero dentro le scarpe da tennis due ragazzine. I tatuaggi,le promesse di dannazione e reciproco amore per sempre.
Arrivano i
maschi adulti. Mirko Ieni, autista che lavora per quell’università privata del
quartiere, uno che nel suo profilo Facebook ha un catalogo di “amiche”
studentesse, aspiranti pr, animatrici di eventi. Le aggancia, ma loro sono
convinte di agganciare lui. «Va bene vengo, ma l’albergo non mi piace», scrive
la piccola. Lui mette a disposizione una stanza in una casa ai Parioli. «A quel
panzone chiediamogli duecento piotte», scrive una delle ragazze.
I clienti
sono uomini adulti, cinquantenni che si fanno chiamare papi, commercialisti,
professionisti. «Mi ha detto che sono troppo piccola», dice lei una volta. «Mi
ha fatto un film quello stronzo», racconta un’altra volta all’amica, comincia
la spirale dei ricatti. «Vai tu che io oggi non posso non mi fanno uscire».
«Queste due mi fanno guadagnare 600 euro al giorno», esulta Mirko l’autista.
I suoi amici
su Fb,gli amici di Mirko, gli dicono bravo. «Chi cazzo ti credi di essere, io
faccio come mi pare»,lo mette a posto,crede, la ragazzina che intanto porta a
casa ogni giorno tre, quattrocento euro. E li dà alla madre che non ha soldi,il
bar non va più e il fratello malato ha bisogno di cure. Dicono le cronache che
la madre “cattiva” sfruttava la figlia, la faceva prostituire. Dice la madre,
ora a Regina Coeli, che lei non sapeva come la figlia guadagnasse quei soldi
che erano comunque benedetti. Non voleva saperlo. Forse spacciava, aveva
pensato. Che sarà mai. Non certo che si facesse pagare dagli uomini, questo no:
comunque non ha domandato. Le indagini sono in corso, le responsabilità degli
adulti tutte da accertare.
Tutte già scritte, ma nulla di questo si può per ora con certezza
ancora dire. Di certo c’è un elenco lungo così, nei tabulati delle due
adolescenti, di “cliente 1 Adriano” “cliente 2 Federico”.Di certo ci sono
uomini spregiudicati e criminali, consapevoli, che hanno approfittato della
fragilità mascherata da onnipotenza di due quindicenni, e chissà se solo di
loro due. Diciamo i nomi. Riccardo Sbarra, commercialista, cliente. Nunzio
Pizzacalla, militare, sfruttatore. Mario detto Michael di Quattro, commerciante,
ricattatore. Mirko Ieni, autista e organizzatore di eventi, quello di «guadagno
600 euro al giorno», nel giro della prostituzione si direbbe un pappone, quello
che mette i locali e organizza il traffico. Salvo che le ragazzine, quelle che
la cronaca chiama baby prostitute, lo sbertucciavano: ma chi ti credi di
essere, pensi di essere tu il padrone? Le padrone siamo noi, sei un
poveraccio.
L’inchiesta è incorso. Nei tabulati dei cellulari delle
ragazze c’è un elenco lungo così di clienti. Tremano, i pedofili che hanno
pagato le quindicenni. Commercianti, professionisti, consulenti d’immagine.
Avranno di certo famiglia, i clienti delle due quindicenni: avranno mogli e
figli. Sulla pagina Fb d Mirko Ieni c’è un rosario di solidarietà, «non so cosa
sia successo e non ci credo, sei er mejo». I profili delle due ragazze, invece,
si sono congelati una settimana fa. Quando la grande ha pianto, in tribunale,
per il fatto che le toglievano il telefono: la sua identità. La piccola ora è
coi nonni, le grande in una comunità. Hanno tolto loro i cellulari,sì. Di
questo e solo per questo si sono disperate.
Una delle due madri è in galera accusata di aver sfruttato la
figlia, o nel migliore dei casi di non aver indagato da dove venivano i pacchi
di soldi che vedeva arrivare e la incitava a continuare a procacciare.
L’altra delle due madri tace, assistita da avvocati avveduti e comunque
asserragliata nel dolore di non aver saputo, nonostante le denunce, varcare la
soglia della porta chiusa di una ragazzina ostile, violenta, incazzata nera,
una bambina mascherata da donna nemica di sua madre. Una dark lady dominatrice,
quindicenne tatuata in scarpe da ginnastica. Innamorata dei “Diluvio”, il
gruppo musicale da cui rubava le citazioni nei suoi post, “lasciali fare,
lasciali dire”. Baci scarlatti. Amori disperati. Spade tatuate, serpenti. Non
si possono “tenere due piedi in una Jordan” e chissà cosa avrà voluto dire tua
figlia, cosa avrà voluto dirti quando si è fotografata le scarpe e ti ha
lasciata nella tua casa del quartiere Trieste, senza una parola, ti ha lasciata
così.
La
Repubblica del 04/11/2013
…rimangono la certezza
di aver fallito ed
un groppo in gola!!!
…se volete,dite la Vostra qui sotto!!!
gba
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