L’educazione è il grande motore dello sviluppo
personale…
personale…
…ma purtroppo viviamo
in una società dove
prevalgono
i maleducati.
Da noi più che altrove!!!
GRAZIE
NELSON
Il
sorriso del
“nonno”
di tutti
capace di parlare
capace di parlare
anche ai
nemici
Personalità
accattivante,mito
non
scalfito dalla storia e
nessun
desiderio di vendetta:
«Un
angelo mi dirà: sei tu Madiba?
Scendi ai
cancelli infuocati»
L’ex presidente sudafricano Nelson Mandela
amava raccontare agli amici questa storiella: «Quando morirò, mi presenterò
alle Porte del Paradiso e l’Angelo mi chiederà “Lei chi è?”. Io risponderò
usando il mio nome tribale, “Madiba”. “E da dove viene?” insisterà l’Angelo, ed
io “Dal Sudafrica”. L’Angelo mi guarderà “Ah, lei è quel Madiba. Credo debba
accomodarsi ai Cancelli Infuocati, là sotto!”».
E qui Nelson Mandela scoppiava nella sua
accattivante risata, che in galera aveva confortato i compagni per 27 anni e
poi affascinato leader politici, star dello spettacolo e dello sport,
intellettuali, la giuria del Nobel e milioni di persone semplici.
Autocondannandosi per scherzo all’Inferno, Mandela provava a schermarsi
dall’icona di profeta della libertà e della giustizia più amato al mondo, e
così facendo, con grazia, aumentava solo la sua influenza. Il mito del Che
Guevara è offuscato dalla corruzione del regime cubano e dalle rivelazioni
sulla sua durezza personale nella biografia di Anderson.
John Kennedy resta amato, ma ha subito
mille pesanti gossip sulla vita privata, il fratello Bob ha la saggezza di
Mandela, ma la morte tragica nel 1968 gli ha impedito di lavorare davvero nella
Storia. Ai leader comunisti asiatici, Ho Chi Minh in Vietnam e Mao in Cina, i
successi contro il colonialismo e la popolarità nel 1968 degli studenti non
bastano a cancellare la repressione feroce contro i propri cittadini e il
disprezzo della democrazia.
Mandela, nato Rolihlahla Dalibhunga, ha
avuto la grazia di maturare in un politico capace di parlare a chiunque, perché
persuaso di non detenere la verità e davvero umano, cordiale. Nelle sue
memorie, tradotte in italiano da Feltrinelli, Mandela ricorda il carcere duro
di Robben Island, quando le guardie costringevano i detenuti neri a indossare i
pantaloncini per disprezzo, a lavori umili e faticosi, chiamandoli con il nomignolo
razzista «Kaffir boy», oggi fuorilegge in Sud Africa.
Come il patriota italiano Silvio Pellico
nel suo libro «Le mie prigioni» riconosce tra le sofferenze che il carceriere
austriaco Schiller aveva il carattere di un uomo buono, così Mandela, nell’odio
feroce dell’apartheid che divideva il suo paese, impara osservando i secondini
che non tutti i bianchi sono «diavoli». Capisce, da leader politico geniale,
che l’odio, il rancore, il risentimento perenne non porteranno che
all’oppressione infinita dei neri e, alla caduta del regime Afrikaner, alla
guerra civile e alla dittatura, tra massacri.
La qualità migliore di un leader è saper
maturare, guardare non solo alle proprie idee e ai propri militanti, ma alle
ragioni, i sentimenti, la cultura degli avversari. Un percorso difficilissimo
in condizioni normali, ma quasi impossibile nel Sudafrica con i militanti neri
uccisi, milioni di cittadini in condizioni di povertà, il disprezzo del
razzismo. Quando va a studiare legge all’Università, Mandela siede accanto a
uno studente bianco, che ricorda «per le orecchie a sventola». Quello,
sdegnato, si alza subito per non avere compagno di banco un «coloured» e si
allontana. Mezzo secolo dopo, quando gli ex allievi tengono una riunione
celebrativa, il presidente Mandela fa cercare il ragazzo dalle orecchie a
sventola, ma è morto. «Mi spiace - commenta Mandela - gli avrei chiesto della
sua vita, gli avrei stretto la mano e assicurato che non gli serbavo
rancore».
Né le prove terribili della politica, né le
angosce private, i divorzi, gli adulteri della moglie, la morte precoce dei
figli in incidenti o per l’Aids, hanno alterato la «buona volontà» di Nelson
Mandela e il suo sorriso, il cercare l’intesa, il dialogo anche nelle feroci
guerre civili della sua adorata Africa che cercava di conciliare. Il mondo lo
ha adottato come «nonno» di tutti riconoscendo questa qualità. È facile ora
dimenticare, nel tripudio dei riconoscimenti unanimi, che Nelson Mandela lasciò
il carcere solo nel 1990, che a lungo - negli anni della Guerra Fredda quando
il Sud Africa anticomunista che sorvegliava le rotte di due oceani era
roccaforte importante - l’Occidente chiuse un occhio sulla tragedia
dell’apartheid, e che il business ascoltò distratto le voci che chiedevano
«divest», non finanziare o fare affari con Pretoria. Le prime pagine di tanti
giornali, fino alla fine degli Anni Ottanta, testimoniano malinconiche questa
ipocrisia.
Mandela ha chiesto di essere sepolto
nell’ancestrale Qunu, area orientale cara alla sua famiglia: «Là sono stato un
bambino felice, prendevo passeri con la fionda, raccoglievo miele selvatico,
frutta e ortaggi, bevevo il latte caldo appena munto, nuotavo nei torrenti
gelati e andavo a pescare con una lenza di filo di ferro». Il patriarca non ha
mai perduto il sorriso di quel bambino, né nella sconfitta, né nella vittoria,
né nella cella umida dove contrasse la tubercolosi, né nei palazzi del potere
che lo ricevettero in gloria. Il miracolo dell’umanità di Nelson Mandela ha
dunque parlato a ciascuno di noi, e per questo lo abbiamo amato e la sua icona
ha brillato nella storia, come un sorriso di bimbo.
La Stampa 6 Dicembre 2013
Gianni Riotta
se volete,dite la Vostra
qui sotto!!!
gba
Ancora una volta inizio a scrivere dicendo che i migliori ci salutano sempre senza lasciare istruzioni, però, sia per chi è andato via prematuramente, che per chi ha vissuto il suo tempo, voglio poter riservare un posto nell’immortalità.
RispondiEliminaEccomi qui per dare un ultimo saluto a un grande uomo che mi auguro abbia lasciato in eredità, almeno per qualcuno, i principi dell’uguaglianza, della solidarietà e della lotta contro ogni supremazia.
Mandela ha largamente dimostrato che tali concetti sono perseguibili, che è possibile lottare per la libertà, che si può soffrire per un ideale, che è un dovere desiderare la felicità di tutti gli “uomini”.
Il racconto della sua vita è un patrimonio che nessuno dovrà permettersi di dimenticare, Lui è stato pronto alla sofferenza fino al limite di sacrificare la vita per il suo popolo ed ha vinto proprio per questo.
Sì è battuto per il Sud Africa diventando un padre ed un esempio per tutti gli oppressi del mondo; è stato un uomo che ha conosciuto la disperazione e la gloria, dalle celle di isolamento ai tappeti rossi del Premio Nobel.
Ora, la morte di una figura come Mandela, non deve essere soltanto sinonimo di perdita, ma guida da ripercorrere e rincorrere. Il Suo pensiero deve diventare una ricchezza, un insegnamento che possa sottolineare il valore della democrazia e della libertà a tutti coloro che hanno un “potere” tra le mani, che possa suggerire anche al nostro paese, che in questo momento storico rimbalza nell’incertezza, qualcosa di più grande del qualunquismo, dell’individualismo e della ipocrisia, tutte brutte malattie che possono diventare altamente contagiose e travolgenti per le giovani generazioni.
A coloro che sono al timone introno a noi, è richiesto molto meno della sofferenza, non è nemmeno richiesto il sacrificio della vita, ma solo un minimo di predisposizione all’onestà e alla coerenza… eppure sembra comunque troppo ...
Non sono felice in questo caos, il menefreghismo è la trappola di questa “moderna” società… non mi resta che continuare a lanciare un pensiero nel passato per riproporre qualcosa che sappia di buono, che abbia il gusto della speranza e la leggerezza dell’ossigeno per respirare.
Purtroppo la speranza è sempre più prudente e l’aria sempre più rarefatta …
Addio Madiba, con te e con gli altri grandi, che quest’anno hanno lasciato questo pianeta, se ne va un altro pezzo dei miei pensieri ancora velati dall’utopia.
“Al mondo esiste una sola razza: si chiama… l’umanità”. N. Mandela
Margherita Grolla