Questa
è
la norma…
Dalla festa del nonno
ai mulini ecco il catalogo
delle spese folli
Secondo Confcommercio
ai mulini ecco il catalogo
delle spese folli
Secondo Confcommercio
si buttano 82 miliardi l’anno
C’è chi ha uffici in Nicaragua
e chi paga corsi di
merletto
Nel
cassetto è rimasto un vecchio servizio dell’Espresso, giugno 2000. Un po’ più
di quattordici anni fa e comunque non era una primizia: vi si leggeva, già con
un margine di scoramento, dei 410 milioni (di lire) spesi dal Molise per
commissionare alla Pontificia fonderia Marinelli la campana col rintocco adatto
alle celebrazioni giubilari, oppure dei 65 stanziati dal Lazio a sovvenzione
della festa del nonno di Ariccia, dove qualche notorietà la si deve alla
porchetta più che al vecchierello.
Poi
c’erano i dieci milioni della Calabria per la cipolla rossa di Tropea, e avanti
così, ma non era soltanto un festival dello strano ma vero: la Sicilia tirò
fuori quattro miliardi per la valorizzazione dei mulini a vento e sei per
l’individuazione di spiagge libere. Da allora i quotidiani e i periodici e la
tv d’inchiesta coprono gli spazi e i momenti di noia con servizi di questo
tipo, che hanno il pregio di essere infallibili; in fondo sono il modo superpop
di cogliere l’attimo carnevalesco e, attimo dopo attimo, di spiegare come le
Regioni siano in grado di sprecare 82,3 miliardi di euro all’anno, secondo lo
studio presentato a marzo da Confcommercio. Vi si dice, fra l’altro, che il
Lazio ne butta oltre undici, la Campania dieci abbondanti e la Sicilia - record
- è lì per toccare quota quattordici.
Il
mondo è pieno di resoconti di questa natura. Il sempreverde è l’articolo sulle
sedi di rappresentanza delle Regioni, con l’aneddoto strepitoso delle ventuno
sedi regionali a Bruxelles, tutte indispensabili a mantenere il filo diretto
fra Bari e l’Ue, Cagliari e l’Ue, Genova e l’Ue; piccolo dettaglio: le Regioni
sono ventuno, ma Trento e Bolzano ritennero doveroso farsi una sede per
provincia. Ai tempi di Giulio Tremonti si venne a sapere, con molta fatica e
qualche approssimazione, che queste sedi sono 178 sparse nel mondo, il Piemonte
ne ha una in Nicaragua e un’altra a Minsk, il Veneto in India e in Vietnam, la
Puglia in Albania, le Marche a Ekaterinburg, dove ci fu l’eccidio dei Romanov e
altro non si sa.
Ha
provato a metterci mano anche Carlo Cottarelli, il commissario alla spending
review, e gli raccontarono (ne scrisse il Fatto) di quel consigliere
regionale della Basilicata che voleva aprire a Potenza un ufficio di
rappresentanza della Regione, e nonostante la Regione Basilicata abbia sede a
Potenza. Insomma, se c’era un affare su cui si raggiungeva l’unanimità della
nazione, era questo: le Regioni sono il tombino dei nostri soldi. Eravamo
andati a vedere le consulenze distribuite in splendida allegria, i consulenti
piemontesi sulla qualità percepita dagli utenti delle reti ferroviarie, i
consulenti friulani sulle biblioteche nel deserto della Mauritania e su un
corso di merletto, quello umbro sul monitoraggio delle tv locali. Siamo andati
a verificare che la Valle d’Aosta (Regione e altri enti locali) ancora lo
scorso anno aveva 493 auto blu, una ogni 260 residenti, mentre il Molise ne
aveva 368 (tre soltanto a Montenero di Bisaccia, il paese di Antonio Di Pietro)
ed era l’unica Regione, insieme col Trentino, che nel 2013 aveva aumentato
anziché diminuito il parco macchine.
Nel
settore, una specie di bibbia è il divertente libro di Mario Giordano (Spudorati,
Mondadori) che al capitolo sulle Regioni racconta che la Lombardia ha tirato
fuori 75 mila euro nell’osservazione degli scoiattoli e cifre varie nel
sovvenzionamento della Fiera della Possenta di Ceresara, dell’International
Melzo Film Festival, della festa Cià che gìrum, del gemellaggio
Pero-Fuscaldo. E la Lombardia, secondo ogni misurazione, è la più virtuosa di
tutte.
Il
resto è uno spasso, Dustin Hoffman ingaggiato dalle Marche per leggere l’Infinito di
Leopardi (quasi un milione e ottomila euro), la Sagra della Fregnaccia
finanziata in Umbria, il Veneto che paga un libro sulla strada dell’asparago
bianco di Cimadolmo e il gemellaggio con le isole Fiji, e poi la Saga della
Madonna Fredda, l’aeromodellismo, la fienagione, il ruolo della donna nella
vita. In Sicilia in un paio d’anni si sono allestite quattrocento fra pranzi,
cene, rinfreschi, cocktail, aperitivi. Certo, non sarà con un Crodino in meno
che salva il paese, ma in fondo quello che interessava a Cottarelli era capire
qualcosa di più sulle diecimila aziende partecipate localmente che ogni anno
infilano perdite per un miliardo e duecento milioni di euro, o sui
ventiquattromila dipendenti di troppo delle Regioni (stima di Confartigianato).
Forse trovare il taglio giusto non sarà così difficile.
Mattia Feltri
La
Stampa 18 Ottobre 2014
… questa
è
l’eccezione
“Caso Ruby,no ai Ponzio Pilato”
Parla il giudice che si è dimesso
Il dissenso del presidente
della Corte
per l’assoluzione di
Berlusconi
«Il compito di un giudice non è quello di cavillare con i tecnicismi ma prendere un fatto, valutarlo alla luce delle norme, e poi fare un atto di volontà, decidendo. Altrimenti è la giustizia di Ponzio Pilato».
L’ex
giudice Enrico Tranfa l’altra mattina, dopo aver firmato come presidente la
sentenza d’appello che motivava la clamorosa assoluzione di Silvio Berlusconi,
si è trovato di fronte a due strade: o tacere e mandare giù un rospo grosso
come una casa, oppure far parlare il suo dissenso con un gesto clamoroso: ha
scelto la seconda strada, dimettendosi (con una raccomandata all’Inps) un
minuto dopo aver consegnato in cancelleria un verdetto non privo di aspetti
contraddittori che riassumevano tutto il tormento di questi mesi nel collegio
della seconda sezione, ora privo di una guida. Un dissenso non solo “culturale”
rispetto alla valutazione dei fatti, ma anche “metodologico”.
Per
esempio: è mai possibile considerare falsi i testimoni che hanno raccontato
delle “cene eleganti ad Arcore”, scrivere chiaramente che il “sistema
prostitutivo” di Villa San Martino è provato, rilevare il mestiere di baby
prostituta di Ruby, osservare che Berlusconi quando telefonò in Questura aveva
interesse a fare in modo che la ragazza non andasse in una comunità a raccontare
dei suoi rapporti sessuali con il presidente del Consiglio e poi dichiarare che
non vi sono prove di alcun reato?
E’
vero che le Sezioni Unite della Cassazione, richiamate in sentenza, hanno
fissato dei paletti precisi per la definizione del reato di concussione per
costrizione o per induzione ma hanno anche chiarito che la minaccia a un
pubblico ufficiale può essere implicita. E quindi, se un funzionario di polizia
riceve a mezzanotte, a casa sua, la telefonata di un Presidente del Consiglio
che gli chiede di liberare in fretta «la nipote di Mubarak», come vive una
richiesta del genere? Per non parlare del fatto che il povero dirigente Ostuni,
cui alla fine viene addossata la colpa di eccessiva solerzia, continuò a
ricevere telefonate del capo scorta di Berlusconi fino all’alba. Davvero si
attivò «per disinteressata accondiscendenza»?
Ecco,
par di capire che Tranfa non abbia condiviso nemmeno una virgola di questa
tesi, schiacciato dalla maggioranza del suo stesso collegio. Composto non da
due fan di Forza Italia ma da un giudice, Ketty Lo Curto, vicina alle posizioni
di Magistratura democratica, e un altro, Alberto Puccinelli, considerato un
moderato, come del resto Tranfa.
Ieri
non tutti hanno apprezzato il gesto dell’ex magistrato - 70 anni, di cui 39 in stimatissima
toga - che ad alcuni è sembrato troppo plateale. Perché il “dissenso” nei
collegi «è fisiologico». Ma l’ex giudice, che solo ieri a mezzogiorno ha
notificato le dimissioni al presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio,
agli amici ha raccontato che «ho fatto il massimo che potevo per togliermi un
peso dallo stomaco». Un peso che ha iniziato a far male fin dalla camera di
consiglio che il 18 luglio scorso assolse Berlusconi dall’accusa di
prostituzione minorile e concussione e quindi da una condanna a 7 anni. Da quel
momento Tranfa si è sentito isolato. Avrebbe potuto limitarsi a mettere in una
busta il suo dissenso come gesto di autotutela, ma invece ha preferito bere
fino in fondo l’amaro calice, firmando la sentenza e poi lasciare, anticipando
la pensione di 15 mesi. Nessun altro sospetto. Questione di «punti di vista».
Paolo Colonnello
La
Stampa 18 Ottobre 2014
Il patto del
Nazareno
ha sancito che
la realtà
non sussiste.
Noi possiamo solo
prendere atto.
Io credo che
l’unica possibile ribellione
sia votare al più presto
annullando
la scheda
per favorire così
l’arrivo di un
COMMISSARIO
EUROPEO!!!
gba
Se volete, dite la Vostra qui sotto!!!
gba
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