sabato 18 ottobre 2014

Questa
è
la norma…

Dalla festa del nonno
ai mulini ecco il catalogo
delle spese folli

Secondo Confcommercio 

si buttano 82 miliardi l’anno 

C’è chi ha uffici in Nicaragua

e chi paga corsi di merletto



Nel cassetto è rimasto un vecchio servizio dell’Espresso, giugno 2000. Un po’ più di quattordici anni fa e comunque non era una primizia: vi si leggeva, già con un margine di scoramento, dei 410 milioni (di lire) spesi dal Molise per commissionare alla Pontificia fonderia Marinelli la campana col rintocco adatto alle celebrazioni giubilari, oppure dei 65 stanziati dal Lazio a sovvenzione della festa del nonno di Ariccia, dove qualche notorietà la si deve alla porchetta più che al vecchierello.

Poi c’erano i dieci milioni della Calabria per la cipolla rossa di Tropea, e avanti così, ma non era soltanto un festival dello strano ma vero: la Sicilia tirò fuori quattro miliardi per la valorizzazione dei mulini a vento e sei per l’individuazione di spiagge libere. Da allora i quotidiani e i periodici e la tv d’inchiesta coprono gli spazi e i momenti di noia con servizi di questo tipo, che hanno il pregio di essere infallibili; in fondo sono il modo superpop di cogliere l’attimo carnevalesco e, attimo dopo attimo, di spiegare come le Regioni siano in grado di sprecare 82,3 miliardi di euro all’anno, secondo lo studio presentato a marzo da Confcommercio. Vi si dice, fra l’altro, che il Lazio ne butta oltre undici, la Campania dieci abbondanti e la Sicilia - record - è lì per toccare quota quattordici. 

Il mondo è pieno di resoconti di questa natura. Il sempreverde è l’articolo sulle sedi di rappresentanza delle Regioni, con l’aneddoto strepitoso delle ventuno sedi regionali a Bruxelles, tutte indispensabili a mantenere il filo diretto fra Bari e l’Ue, Cagliari e l’Ue, Genova e l’Ue; piccolo dettaglio: le Regioni sono ventuno, ma Trento e Bolzano ritennero doveroso farsi una sede per provincia. Ai tempi di Giulio Tremonti si venne a sapere, con molta fatica e qualche approssimazione, che queste sedi sono 178 sparse nel mondo, il Piemonte ne ha una in Nicaragua e un’altra a Minsk, il Veneto in India e in Vietnam, la Puglia in Albania, le Marche a Ekaterinburg, dove ci fu l’eccidio dei Romanov e altro non si sa.

Ha provato a metterci mano anche Carlo Cottarelli, il commissario alla spending review, e gli raccontarono (ne scrisse il Fatto) di quel consigliere regionale della Basilicata che voleva aprire a Potenza un ufficio di rappresentanza della Regione, e nonostante la Regione Basilicata abbia sede a Potenza. Insomma, se c’era un affare su cui si raggiungeva l’unanimità della nazione, era questo: le Regioni sono il tombino dei nostri soldi. Eravamo andati a vedere le consulenze distribuite in splendida allegria, i consulenti piemontesi sulla qualità percepita dagli utenti delle reti ferroviarie, i consulenti friulani sulle biblioteche nel deserto della Mauritania e su un corso di merletto, quello umbro sul monitoraggio delle tv locali. Siamo andati a verificare che la Valle d’Aosta (Regione e altri enti locali) ancora lo scorso anno aveva 493 auto blu, una ogni 260 residenti, mentre il Molise ne aveva 368 (tre soltanto a Montenero di Bisaccia, il paese di Antonio Di Pietro) ed era l’unica Regione, insieme col Trentino, che nel 2013 aveva aumentato anziché diminuito il parco macchine.

Nel settore, una specie di bibbia è il divertente libro di Mario Giordano (Spudorati, Mondadori) che al capitolo sulle Regioni racconta che la Lombardia ha tirato fuori 75 mila euro nell’osservazione degli scoiattoli e cifre varie nel sovvenzionamento della Fiera della Possenta di Ceresara, dell’International Melzo Film Festival, della festa Cià che gìrum, del gemellaggio Pero-Fuscaldo. E la Lombardia, secondo ogni misurazione, è la più virtuosa di tutte.

Il resto è uno spasso, Dustin Hoffman ingaggiato dalle Marche per leggere l’Infinito di Leopardi (quasi un milione e ottomila euro), la Sagra della Fregnaccia finanziata in Umbria, il Veneto che paga un libro sulla strada dell’asparago bianco di Cimadolmo e il gemellaggio con le isole Fiji, e poi la Saga della Madonna Fredda, l’aeromodellismo, la fienagione, il ruolo della donna nella vita. In Sicilia in un paio d’anni si sono allestite quattrocento fra pranzi, cene, rinfreschi, cocktail, aperitivi. Certo, non sarà con un Crodino in meno che salva il paese, ma in fondo quello che interessava a Cottarelli era capire qualcosa di più sulle diecimila aziende partecipate localmente che ogni anno infilano perdite per un miliardo e duecento milioni di euro, o sui ventiquattromila dipendenti di troppo delle Regioni (stima di Confartigianato). Forse trovare il taglio giusto non sarà così difficile.

Mattia Feltri
La Stampa 18 Ottobre 2014

… questa
è
l’eccezione

 “Caso Ruby,no ai Ponzio Pilato”

Parla il giudice che si è dimesso

 

Il dissenso del presidente

della Corte

per l’assoluzione di Berlusconi



«Il compito di un giudice non è quello di cavillare con i tecnicismi ma prendere un fatto, valutarlo alla luce delle norme, e poi fare un atto di volontà, decidendo. Altrimenti è la giustizia di Ponzio Pilato».

L’ex giudice Enrico Tranfa l’altra mattina, dopo aver firmato come presidente la sentenza d’appello che motivava la clamorosa assoluzione di Silvio Berlusconi, si è trovato di fronte a due strade: o tacere e mandare giù un rospo grosso come una casa, oppure far parlare il suo dissenso con un gesto clamoroso: ha scelto la seconda strada, dimettendosi (con una raccomandata all’Inps) un minuto dopo aver consegnato in cancelleria un verdetto non privo di aspetti contraddittori che riassumevano tutto il tormento di questi mesi nel collegio della seconda sezione, ora privo di una guida. Un dissenso non solo “culturale” rispetto alla valutazione dei fatti, ma anche “metodologico”.

Per esempio: è mai possibile considerare falsi i testimoni che hanno raccontato delle “cene eleganti ad Arcore”, scrivere chiaramente che il “sistema prostitutivo” di Villa San Martino è provato, rilevare il mestiere di baby prostituta di Ruby, osservare che Berlusconi quando telefonò in Questura aveva interesse a fare in modo che la ragazza non andasse in una comunità a raccontare dei suoi rapporti sessuali con il presidente del Consiglio e poi dichiarare che non vi sono prove di alcun reato?

E’ vero che le Sezioni Unite della Cassazione, richiamate in sentenza, hanno fissato dei paletti precisi per la definizione del reato di concussione per costrizione o per induzione ma hanno anche chiarito che la minaccia a un pubblico ufficiale può essere implicita. E quindi, se un funzionario di polizia riceve a mezzanotte, a casa sua, la telefonata di un Presidente del Consiglio che gli chiede di liberare in fretta «la nipote di Mubarak», come vive una richiesta del genere? Per non parlare del fatto che il povero dirigente Ostuni, cui alla fine viene addossata la colpa di eccessiva solerzia, continuò a ricevere telefonate del capo scorta di Berlusconi fino all’alba. Davvero si attivò «per disinteressata accondiscendenza»?

Ecco, par di capire che Tranfa non abbia condiviso nemmeno una virgola di questa tesi, schiacciato dalla maggioranza del suo stesso collegio. Composto non da due fan di Forza Italia ma da un giudice, Ketty Lo Curto, vicina alle posizioni di Magistratura democratica, e un altro, Alberto Puccinelli, considerato un moderato, come del resto Tranfa.

Ieri non tutti hanno apprezzato il gesto dell’ex magistrato - 70 anni, di cui 39 in stimatissima toga - che ad alcuni è sembrato troppo plateale. Perché il “dissenso” nei collegi «è fisiologico». Ma l’ex giudice, che solo ieri a mezzogiorno ha notificato le dimissioni al presidente della Corte d’Appello Giovanni Canzio, agli amici ha raccontato che «ho fatto il massimo che potevo per togliermi un peso dallo stomaco». Un peso che ha iniziato a far male fin dalla camera di consiglio che il 18 luglio scorso assolse Berlusconi dall’accusa di prostituzione minorile e concussione e quindi da una condanna a 7 anni. Da quel momento Tranfa si è sentito isolato. Avrebbe potuto limitarsi a mettere in una busta il suo dissenso come gesto di autotutela, ma invece ha preferito bere fino in fondo l’amaro calice, firmando la sentenza e poi lasciare, anticipando la pensione di 15 mesi. Nessun altro sospetto. Questione di «punti di vista». 

Paolo Colonnello
La Stampa 18 Ottobre 2014

Il patto del
Nazareno
ha sancito che
la realtà
non sussiste.
Noi possiamo solo
prendere atto.
Io credo che
l’unica possibile ribellione
sia votare al più presto
annullando
la scheda
per favorire così
l’arrivo di un
COMMISSARIO
EUROPEO!!!
gba

Se volete, dite la Vostra qui sotto!!!
gba

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