Per chi avesse
ancora
qualche dubbio…
ancora
qualche dubbio…
Costruttori, imprenditori
ed ex di Forza Italia
alla corte di Matteo
Tutti
avevamo un motivo. Anche il cameriere: «Me lo ha chiesto il maitre». Si direbbe
un maitre minaccioso, vista l’insistenza del ragazzo, smartphone già pronto per
il selfie. Ecco, selfie, un termine di cui è vietato fare a meno: la
definizione dell’epica universale. Sono ormai le undici di sera, siamo riusciti
a raggiungere, oltre le colonne, l’area nobile dell’immensa sala da pranzo -
una novantina di tavoli da dieci ospiti l’uno, guadagno abbondantemente oltre
il milione di euro per il finanziamento del partito - e il premier, sepolto da corpi,
pare un pallone da rugby sotto la mischia. I camerieri hanno studiato la
tattica, alzano le braccia e partono col ritornello, «Matteo Renzi... Matteo
Renzi... Figo Renzi», composizione di un rapper che si fa chiamare Bello Figo.
Ma
non c’è verso, il muro non si sfonda: ogni tanto dall’affollamento entra
qualcuno perché è uscito qualcun altro, iPhone e simili sul palmo, l’indice a
scorrere sullo schermo per mostrare trionfanti lo scalpo. Bello figo. Bella
serata, molto figa, molto fighi tutti quanti, all’inizio si cercava di
individuare questo o quello da un dettaglio fisionomico perché eravamo tutti in
uniforme, abiti in tinte comprese fra blu di Prussia e blu zaffiro, sfumature
impercettibili a occhio umano. Scarpe nere, cravatte catacombali.
Tutti avevamo un tavolo e un motivo. James Pallotta, presidente della Roma, si era portato dietro mezza dirigenza ed era ancora sugli scalini - fuori dal Salone delle fontane all’Eur - e già aggirava il vecchio potere del vecchio circuito piddino che, dice, fa mille storie sullo stadio nuovo; strette di mano, mezzi abbracci, mezze frasi. Il suo tavolo era proprio sotto al palchetto su cui, dalle dieci alle undici, Renzi aveva parlato ai commensali che per un po’ avevano indugiato sulla parmigiana di melanzane e sui ravioli cacio e pepe e sul filettino con spinaci e mandorle, piluccavano, infilavano furtivamente il cibo in bocca, fino al cedimento da crapula.
Tutti avevamo un tavolo e un motivo. James Pallotta, presidente della Roma, si era portato dietro mezza dirigenza ed era ancora sugli scalini - fuori dal Salone delle fontane all’Eur - e già aggirava il vecchio potere del vecchio circuito piddino che, dice, fa mille storie sullo stadio nuovo; strette di mano, mezzi abbracci, mezze frasi. Il suo tavolo era proprio sotto al palchetto su cui, dalle dieci alle undici, Renzi aveva parlato ai commensali che per un po’ avevano indugiato sulla parmigiana di melanzane e sui ravioli cacio e pepe e sul filettino con spinaci e mandorle, piluccavano, infilavano furtivamente il cibo in bocca, fino al cedimento da crapula.
In
fondo quello di Renzi era un the best of, un riassunto delle puntate
precedenti. Ma quando ha finito è sceso e ha puntato Pallotta, gli ha detto che
apprezza tanto gli imprenditori che vengono a investire dall’estero, e insomma
Pallotta si è seduto e non sarebbe stato così contento nemmeno al terzo rigore
contro la Juve.
Ecco,
c’è lo stadio nuovo, c’è l’ordine feticista del maitre, in mezzo c’era l’intero
mondo, c’era il tavolo di Google, c’era il tavolo della Clear Channel che fa
bike sharing già a Parigi e Barcellona, c’era il tavolo della British American
Tobacco, quello del gruppo Maccaferri, quelli degli storici dirigenti del Pd
romano che si erano portati le loro piccole reti di imprenditori da introdurre
nel castello fatato, ma non è che poi Renzi si sia messo a girare come lo
sposo, e come ognuno si augurava. È un’altra musica ormai. E infatti c’erano anche
i tavoli dei pezzi grossi, di Luca Parnasi, dei fratelli Toti, cioè i grandi
costruttori romani, l’amministratore delegato della Lamborghini, Umberto
Tossini, nomi da elencare quasi a caso, ma probabilmente tutti affratellati dal
dilemma riassunto da uno di quel calibro: «Una volta chiamavamo Goffredo
Bettini e lui era a tiro di telefono da Massimo D’Alema e da Walter Veltroni.
Adesso penso che Bettini non abbia nemmeno i numeri». Non soltanto lui.
Questi
giovanotti bellissimi e cattivissimi che si sono presi il potere vivono dentro
al palazzo, ed è impossibile incontrarli, perché è lì che si manifesta la vera
differenza antropologica: fra il partito di relazione di ieri e il partito dei
conquistadores che ci è capitato sulla testa oggi. Sembrava quasi che Renzi
avesse detto: mi rompete le scatole da mesi, bene, allora adesso si fa una
serata tutti assieme, ma voi pagate. E così intanto che Maria Elena Boschi
(come la madonna del petrolio, fantastica definizione di un amico) accoglieva
la fila dei pretendenti alla foto ricordo, Luca Lotti accoglieva quella dei
consegnatori di biglietto da visita, praticamente un sos in bottiglia.
Ecco,
mille ospiti, mille motivi. Era evidente il motivo dei lavoratori in mobilità
del Pd, che si sono prestati al ruolo di receptionist e di guardarobieri perché
«Renzi ci ha promesso che se la serata va bene si esce dalla mobilità». Era
evidente il motivo di Gennaro Migliore, ex rifondarolo ormai preso per
incantamento dalle serate anticastriste con Mario Vargas Llosa o, come venerdì,
da quelle fra ricchi e arricchiti. Un mare, e ci si erano buttati vestiti
Giuseppe Fioroni, ultimissima variante di leopoldista, e i giovani renziani
alla Ernesto Carbone che si godevano il trionfo, e il tesoriere Francesco
Bonifazi che conteggiava l’affluenza con gli occhi a forma di euro, e giovani
professionisti come il segretario generale dei chirurghi italiani, Sascha
Thomas, o come l’ex berlusconiano Giancarlo Innocenzi, a vedere se questo è
davvero un treno in corsa. E finita con un viavai di macchinoni, mentre noi -
in un cedimento renziano - siamo rincasati con una Smart della Car2Go, moderna
mobilità sostenibile.
Mattia Feltri
La
Stampa 9 Novembre 2014
…sul
Berluschino
rampante
che attrae
come i suoi
predecessori
gli italici
sugheri!!!
Se volete, dite la Vostra qui sotto!!!
gba
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