La pillola di oggi
Il festival della civiltà
“Una casa, un lavoro
così la Svezia ci ha donato
la nostra seconda vita”
così la Svezia ci ha donato
la nostra seconda vita”
Fra i profughi siriani che
hanno raggiunto la meta finale “Gps nel cellulare e istruzioni su YouTube, e
siamo arrivati”
Quelli che sono appena
arrivati li riconosci subito. Hanno ancora gli occhi pieni di paura e
diffidenza, spalancati su questo mondo nuovo, che pare così tranquillo e
silenzioso, improvvisamente buono e giusto, dopo tutto quell’orrore. Sono
disorientati, sfiancati da marce sovrumane nel cuore dell’Europa, dalla fame,
dalla sete, dai morti lasciati lungo la strada. Sono quelli della «via di
terra» che ora, dopo settimane di cammino, si permettono un sorriso, lieve.
Qui, in Svezia, è finalmente finito il loro viaggio, loro sono quelli che ce l’hanno fatta.
«Grazie, grazie, grazie». Ripete Zaina, 21 anni, fuggita da Aleppo, arrivata in Scandinavia dopo un viaggio a piedi di 47 giorni. «Grazie». Lo dice a chiunque le rivolga uno sguardo, un sorriso, mentre aspetta il suo turno al centro di identificazione di Märsta, Stoccolma, uno dei più grandi centri di accoglienza svedesi. Qui così come negli altri centri di smistamento allestiti in quelli che una volta erano alberghi, ogni giorno arrivano decine uomini, donne e bambini in fuga, la maggior parte di loro sono siriani. Ormai le strutture di prima accoglienza scoppiano, così molti di loro vengono spediti al Nord, verso le sconfinate pianure lapponi o nelle incantevoli campagne del Dalarna, quelle che le guide turistiche definiscono la «Svezia più autentica e originaria».
Qui, in Svezia, è finalmente finito il loro viaggio, loro sono quelli che ce l’hanno fatta.
«Grazie, grazie, grazie». Ripete Zaina, 21 anni, fuggita da Aleppo, arrivata in Scandinavia dopo un viaggio a piedi di 47 giorni. «Grazie». Lo dice a chiunque le rivolga uno sguardo, un sorriso, mentre aspetta il suo turno al centro di identificazione di Märsta, Stoccolma, uno dei più grandi centri di accoglienza svedesi. Qui così come negli altri centri di smistamento allestiti in quelli che una volta erano alberghi, ogni giorno arrivano decine uomini, donne e bambini in fuga, la maggior parte di loro sono siriani. Ormai le strutture di prima accoglienza scoppiano, così molti di loro vengono spediti al Nord, verso le sconfinate pianure lapponi o nelle incantevoli campagne del Dalarna, quelle che le guide turistiche definiscono la «Svezia più autentica e originaria».
Il tempo massimo di permanenza nei Cie è di tre giorni, la media due, poi il Migrationsverket ti trova una casa, ti offre un sussidio, assistenza medica di base. Per questo è in Svezia che tutti cercano di arrivare.
È il «sogno svedese», questo
Nord diventato un miraggio sulle coste libiche tra le barche in partenza, nei
campi in Turchia, oltre le barriere macedoni, fino nei Cie italiani in Sicilia:
«In Siria se cerchi su Google “asilo” esce in automatico “Svezia” - spiega
Quasai Heraim, architetto, 38 anni». La Svezia è l’unico Paese europeo a
garantire asilo permanente e incondizionato ai Siriani.
E la procedura è immediata:
«Non solo: ci dà anche aiuti economici, una casa e una nuova vita - spiega
Osama Edward, traduttore dell’Assyrian Human Rights Network -. Per questo tutti
cerchiamo disperatamente di arrivare in Svezia».
Se segui i corsi di lingua e
cultura svedese lo Stato ti paga circa 600 euro al mese (di più se hai figli),
case con affitti «simbolici» e dopo pochi mesi il permesso di lavoro o
l’Università gratuita se vuoi studiare.
La rotta via terra.
Quasai ha studiato la sua
fuga seguendo le indicazioni di un video caricato su YouTube che in Siria è
diventato come un manuale d’istruzioni. Il titolo: «Come raggiungere la Svezia
via terra». C’è il tariffario e i contatti degli smuggler, i trafficanti, le
strade da seguire per chi parte da solo o chi si perde lungo il tragitto
(«segui la ferrovia»), il costo dei passaporti falsi, i confini più difficili
da attraversare e i «consigli per il viaggio»: scarpe buone, uno smartphone con
gps, una maglia pesante e un telo di nylon. Il resto è solo peso inutile.
Quasai è arrivato a Stoccolma da una settimana: «Non volevo morire affogato.
Per mesi abbiamo visto le
immagini dei barconi, abbiamo contato i morti nel Mediterraneo. Per questo ho
scelto il viaggio via terra. Meno acqua possibile tra me e il mio futuro». Ha
attraversato a piedi Turchia, Macedonia, Serbia, Ungheria, Austria, Germania.
Di giorno nascosto tra i cespugli, nei boschi, di notte in marcia: «Mi
svegliavo quando faceva buio e, ogni giorno, per 40 giorni, pensavo: e anche
oggi non sono morto». In Ungheria è arrivato appena in tempo: «Il muro era
ancora in costruzione, sono riuscito a scivolare sotto il filo spinato. Ora,
gli altri come faranno?».
È l’Ungheria il Paese che fa più paura: «Nessuno vuol essere preso in Ungheria, nessuno vorrebbe rimanere lì», dice Ibrahim, che a Damasco faceva l’«aggiustacose»: «Ormai è pieno di polizia ovunque, cercano solo noi, come se non bastasse il resto». Il resto è, per esempio l’assalto, di alcuni cani - forse da caccia - all’alba del 7 agosto: «Ci eravamo appena addormentati in una foresta vicino all’Austria. Forse avevano fame anche loro... Ci hanno assaliti, tre di noi sono rimasti feriti». Il viaggio di Yosseff, invece, non è ancora finito: ogni giorno da quando è arrivato, il 21 maggio scorso, cammina - ancora - dalla sua casa alla periferia di Stoccolma al centro di accoglienza, 15 chilometri all’andata, 15 al ritorno: ha perso la fidanzata Nousa durante il viaggio. Il suo gruppo di 35 persone si è imbattuto in una pattuglia militare in Ungheria. Le donne erano insieme, e tutte insieme sono fuggite. Chissà dove. Da allora Yosseff torna al centro ad aspettarla.
C’è chi scappa da Assad, dall’Isis, dalle milizie shabiah, dai rastrellamenti, dalle bombe, dalla distruzione completa di un Paese. C’è chi scappa da tutto: «Sono partito da Al Qaryatin, il 1 agosto. Il 4 agosto i miliziani di Isis hanno preso il villaggio - racconta Osama, imprenditore edile, cristiano -. La mia casa ora non esiste più, intere famiglie in fuga sono state uccise per colpa delle milizie di Assad: chiedevano soldi per lasciarli passare e scappare, chi non ce li aveva è stato costretto a tornare indietro, nei territori ormai controllati dall’Isis. E all’Isis i cristiani non piacciono».
I bambini soli.
La legge svedese prevede che
i minorenni non accompagnati abbiano il diritto al ricongiungimento con tutta
la famiglia entro un anno dall’identificazione. «Ce l’ho fatta per 17 giorni».
Mohamed è riuscito ad arrivare prima del suo 18 compleanno, fuggito dai
sobborghi di Homs. «Eravamo a casa, stavamo per metterci a tavola quando i
fantasmi sono venuti a prendere mio padre».
I fantasmi, gli «shabiha»,
le milizie filo Assad. «Guardavo la Tv con mio fratello piccolo. Hanno bussato
forte e sono andato ad aprire. Non dovevo aprire la porta. Sono entrati, erano
in tanti, e hanno portato via mio padre, che faceva finta di essere tranquillo
e ci sorrideva, ma si vedeva che faceva solo finta. L’ho rivisto una settimana
dopo: era attaccato per i piedi a un’automobile che lo trascinava per tutto il
quartiere. Non aveva più i vestiti ed era morto. Due giorni dopo sono partito,
e ora aspetto mia mamma e i miei fratelli».
Nell’attesa Mohamed abiterà
con una famiglia svedese affidataria (che viene rimborsata dal governo 800 euro
al mese) e riceverà sostegno psicologico, lui come tutti i minori soli
rifugiati in Svezia: 12 mila nel 2015. Il numero più alto di tutta l’Europa.
Mohamed non è l’unico ragazzino
solo: alla residenza temporanea di Sodertalije i bambini sono muti e immobili.
Alcuni non parleranno per molto tempo ancora, come Akkad, 7 anni, arrivato da
Aleppo un mese fa. É stato «spedito» con dei trafficanti che l’hanno
lasciato, da solo, al casello appena oltrepassato il ponte tra Danimarca e
Svezia.
Addosso una busta di
plastica con il suo nome e l’indirizzo della famiglia. Ha enormi occhi verdi,
una felpa a righe bianche e blu, un berretto troppo grande con il logo
«Scania». Non ha mai parlato: «Le bombe prima, la paura, l’assenza dei genitori
gli hanno fatto questo», spiega Annika Brolin, una volontaria che assiste. «Le
vittime dell’orrore non sono salve, neanche qui».
La Stampa 28
Agosto 2015
Monica
Perosino
Questo accade non solo in
Svezia ma in tutti i Paesi dove i cittadini si sentono parte della
collettività, dove i politici fanno politica per il bene della collettività
rispettando norme e leggi vigenti senza assurdi privilegi e senza rubare, dove i
giudici applicano le leggi in modo rigoroso punendo in modo esemplare chi
sbaglia a qualsiasi livello della scala sociale.
Per dirlo in poche parole
accade in tutti i Paesi civili che fanno della civiltà, dell'etica e del reciproco rispetto
il dna della loro CULTURA.
Leggete sotto e se volete entrate a far parte del Cantiere di “Altra
Cultura”. Buon tutto a tutti. Gba
Per
cambiare occorre una
Altra Cultura
Cantiere di opinioni
e di azioni
valorizzare il territorio ed i suoi
abitanti attraverso il confronto e la condivisione
per esprimere al meglio il meglio
“Un uomo chiamato a fare lo spazzino
dovrebbe spazzare le strade così come Michelangelo dipingeva, o Beethoven
componeva, o Shakespeare scriveva poesie. Egli dovrebbe spazzare le strade così
bene al punto che tutti gli ospiti del cielo e della terra si fermerebbero per
dire che qui ha vissuto un grande spazzino che faceva bene il suo lavoro.”
Martin Luther King
Lunedi 7 Settembre 2015
ore 21.00
al TREFF
Via San Carlo 1
Giaveno
riapre il
Cantiere di opinioni
e di azioni.
Siete tutti invitati o,se preferite, dite
la Vostra qui sotto!!!
Gba
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