ScusAtemi
ma si chiama
P
A
S
S
I
O
N
E
A
S
S
I
O
N
E
...
Figli
della stellA
della stellA
E’ una vita che scrivo
questo articolo sul ritorno del Toro in serie A. Mi sono scocciato di tornare
in serie A. Ieri ci sono tornato di nuovo ma, sia chiaro, è l’ultima volta. A
un certo punto mi è venuto pure da piangere. Eravamo ancora sullo zero a zero,
Vives la passava a D’Ambrosio che la passava a Surraco che la passava a Vives
che la passava a Iori che la perdeva. E io piangevo.
Non per l’errore di Iori,
povero figlio che ha tirato la carretta per mesi. Pensavo alle ragazze di
Brindisi, ai terremotati emiliani, e mi vergognavo di essere venuto allo stadio
con la felpa granata di capitan Valentino per tendere agguati alla felicità.
Possibile che la goduria pura e spensierata a noi sia preclusa per diritto
divino?, mi domandavo mentre cominciava anche a piovere.
Sentivo che il gol stava
per arrivare, lo pregustavo, e sciogliendo l’immaginazione nel più alto dei
cieli vedevo mio padre, mio zio e l’intero pantheon degli antenati granata
affacciarsi dalle nuvole sopra Superga con certi bandieroni da paura. Ero così
commosso e contento che mi sono sentito in colpa e ho abbassato la testa per
nascondermi, un attimo prima che il dinoccolato Oduamadi spingesse in rete la
palla del ritorno in serie A. E lì al diavolo le lacrime e i sensi di colpa: ho
alzato le braccia al cielo per acchiappare anch’io la mia stella.
Me la sono appuntata idealmente sul petto dopo una breve riunione fra me e me, durante la quale ho assegnato al Toro lo scudetto del 1927 ingiustamente revocato, lo scudetto del 1972 clamorosamente scippato e lo scudetto del 1977 indubbiamente strameritato. Sette più tre dieci: stella. Noi siamo figli della stella, fratelli di virus. Ne regalerei volentieri una a tutti i bambini che ieri erano allo stadio per la prima volta, trascinati a forza dai loro papà. Uno di questi papà, lo so per certo, è uscito di casa mentendo spudoratamente alla moglie: le ha detto che avrebbe portato il bimbo al museo. Temo lo abbia tradito quel bandierone di quattro metri che si trascinava sulla schiena. Le mamme sono in ansia, e giustamente: per i loro pargoli si augurano un futuro di domeniche felici, mentre il virus del Toro che molte creature innocenti hanno contratto ieri e per sempre le condannerà a una vita di gioie tribolate e tribolazioni gioiose. Un inferno, però bello, per chi capisce di queste cose.
Me la sono appuntata idealmente sul petto dopo una breve riunione fra me e me, durante la quale ho assegnato al Toro lo scudetto del 1927 ingiustamente revocato, lo scudetto del 1972 clamorosamente scippato e lo scudetto del 1977 indubbiamente strameritato. Sette più tre dieci: stella. Noi siamo figli della stella, fratelli di virus. Ne regalerei volentieri una a tutti i bambini che ieri erano allo stadio per la prima volta, trascinati a forza dai loro papà. Uno di questi papà, lo so per certo, è uscito di casa mentendo spudoratamente alla moglie: le ha detto che avrebbe portato il bimbo al museo. Temo lo abbia tradito quel bandierone di quattro metri che si trascinava sulla schiena. Le mamme sono in ansia, e giustamente: per i loro pargoli si augurano un futuro di domeniche felici, mentre il virus del Toro che molte creature innocenti hanno contratto ieri e per sempre le condannerà a una vita di gioie tribolate e tribolazioni gioiose. Un inferno, però bello, per chi capisce di queste cose.
Insomma, nonostante tutto
siamo ancora vivi e ci moltiplichiamo. L’allenatore Ventura, profeta del titic
e titoc che lui chiama libidine, ci tratta da depressi, ritenendoci spolpati
dai tre anni consecutivi di serie B. Forse non sa che la nostra depressione
dura da vent’anni, dal giorno infausto in cui cadde il Filadelfia e il Toro, il
nostro Toro si inabissò. Da allora, e non può essere una coincidenza, siamo diventati
una precaria del calcio, su e giù fra A e B, l’ultimo derby vinto quando ancora
i giocatori non portavano i cognomi sulle maglie.
Ci siamo illusi troppe
volte, l’ultima con Cairo, a cui adesso la vita sta offrendo una seconda
possibilità. Avrà imparato a fare il presidente? Investirà soldi veri su dieci
campioncini nella speranza che due di loro diventino dei campioni, oppure
continuerà a prendere in prestito i soliti dieci bolliti dal cognome più o meno
altisonante? Confido nella sua intelligenza e spero che riesca finalmente a
irrorarla di coraggio. Le prossime settimane saranno quelle della verità.
Vedremo se Cairo ha capito la lezione e se Ventura, a cui riconosco il merito
di aver dato stabilità emotiva e tattica a un branco di dispersi, vorrà essere
davvero l’allenatore del Toro e non più soltanto dei giocatori che ha allenato
altrove (cinque del Bari ne avevamo quest’anno, cin-que!).
Il Toro è Toro se investe a lungo termine e il primo di questi investimenti si chiama Filadelfia: il luogo che distingueva il Toro dal resto del calcio e dava al neofita granata - calciatore, allenatore, giovane tifoso che fosse - la sensazione di essere capitato in una realtà diversa, unica al mondo. La rinascita del Fila è uno sforzo da fare subito e a cui dobbiamo contribuire tutti, ma anzitutto le istituzioni cittadine, che col Toro hanno un debito d’onore. Siamo o non siamo i figli della stellA?
Il Toro è Toro se investe a lungo termine e il primo di questi investimenti si chiama Filadelfia: il luogo che distingueva il Toro dal resto del calcio e dava al neofita granata - calciatore, allenatore, giovane tifoso che fosse - la sensazione di essere capitato in una realtà diversa, unica al mondo. La rinascita del Fila è uno sforzo da fare subito e a cui dobbiamo contribuire tutti, ma anzitutto le istituzioni cittadine, che col Toro hanno un debito d’onore. Siamo o non siamo i figli della stellA?
Massimo
Gramellini
La Stampa 21
Maggio 2012
…che
come
è noto
produce
lacrime
di
gioia e di dolore !!!
…se volete dite la Vostra qui sotto!!!
gba
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