Vita
senza
Valori
Non sappiamo più
giocare alla vita
giocare alla vita
Gli
uomini non corteggiano più le donne. Diventiamo cinici: non ne vale la pena,
tanto poi finisce. Eppure non c’è gioco più bello dell’amore. Non comincia
tutto con un gioco di sguardi per diventare poi un gioco di anime? Però non ci
riesce più di stare al gioco.
Il
gioco è una delle finestre aperte per scandagliare il guazzabuglio sociale del
cuore umano. Il gioco è un’isola perfetta, un territorio circoscritto da regole
precise in cui il rischio - a differenza della realtà - è controllato e non può
farci troppo male. Sono proprio le regole e la fiducia negli altri che rendono
appassionante e libero il gioco, che finisce infatti quando uno bara o dice
“non gioco più”. Così è per ogni gioco: soprattutto quello dell’amore. Ma
andiamo con calma. Oggi ci sono altri giochi che ci rivelano la fatica che
facciamo a giocare la vita “sul serio”.
Prima
c’è il grande gioco di ruolo globale: Facebook. Un gioco in cui uno fa la parte
di se stesso, indossa la maschera di sé, grazie a foto in cui è più bello di
come appare nella realtà e scrive frasi più intelligenti di quelle che
pronuncia nella realtà. Appartiene alla categoria di giochi in cui impersoniamo
qualcun altro. Da bambini diventavamo il dottore, la maestra, la mamma, il
pompiere. Oggi diventiamo il profilo di Facebook.
Il bambino che fa il pompiere non vuole fare il pompiere, ma vuole fare
l’adulto, imita le cose che fanno i “grandi”. I nostri profili di Fb imitano
chi noi vorremmo essere da “grandi” (non adulti, “grandi”, “magni” come
Alessandro e Carlo). È un gioco antico: oscillare tra reale e ideale, tradendo
spesso il primo a favore del secondo, con tutti i rischi di don Chisciotte e
Madame Bovary. Certo lo facciamo per farci amare, farci amare un po’ di più:
infatti essere un po’ più amabili ci fa credere di essere un po’ più amati. Le
bacheche di Fb sono facciate immacolate, ma il ritratto, come Dorian Gray, è
nella soffitta della nostra anima. E un giorno per farci amare davvero dovremo
mostrare anche quello, con le sue brutture, a nostro rischio e pericolo.
Poi
c’è Ruzzle. Abbiamo le parole e le parole dimorano, crescono e maturano nelle
poesie e nelle pagine di prosa. Quando le troviamo brillano come pepite in una
miniera. Le riconosciamo come un gioiello smarrito nell’angolo di un cassetto.
Oggi leggiamo un po’ meno, anzi oggi leggiamo meno poesie e meno pagine di
prosa di quelle che salvano le parole. Certo, ci informiamo moltissimo, ma
finiamo con l’usare sempre le stesse parole e magari lasciamo entrare nella
nostra anima mostri come endorsement (che poi “appoggio” non suona tanto male).
Ruzzle segnala sulla carta geografica dell’anima la nostra nostalgia per le
parole: ci mancate, parole. Tornate, parole, per favore, a dirci chi siamo e come
siamo. Ruzzle non è altro che il vecchio Cose Nomi Città. Giochi antichi, nomi
(affari) nuovi.
E
poi c’è il gioco del calcio: l’agon, la battaglia. La vita è lotta e il calcio
oggi ne è la sublimazione più comoda e spettacolare. Dal divano di casa si lotta
bene. Un agone senza agonia, a tutte le ore del giorno. Che cosa c’è di meglio
di lottare senza sudare ma provando le stesse emozioni?
Certo
c’è anche l’azzardo: il gratta-e-vinci, il bingo, le slot-machine e tutto
quella categoria di giochi che ci ricorda che la vita è una lotta contro il
destino. Non c’è merito che conti, ma puro caso a cui abbandonarsi finanche a
naufragare, come purtroppo succede ai ludopatici, vittime del destino che hanno
sfidato.
Da
ultimo ci sono i giochi della vertigine: quelli che piacciono ai giovani,
quelli che portano a perdersi per ricordarsi che nella vita non vorremmo avere
regole, infrangendo persino quelle assolute. Ogni sballo che sfida la ragione e
l’istinto di conservazione: dal bungee jumping a chi beve più birre. Giochi che
possono portare a giocare la vita, fino a perderla.
I
giochi del nostro tempo ci dicono chiaro che noi vogliamo “giocarci la vita” e
vogliamo che gli altri “giochino sul serio”, ma allo stesso tempo ci rivelano
che spesso ci accontentiamo di prenderci gioco della vita: insomma bariamo. E
invece avremmo bisogno di essere veri giocatori e non bari della vita: giocare
un po’ di più nel quotidiano e con le persone che abbiamo accanto. Fare un
amore più vero, tornare a corteggiare senza sfumature di grigio, leggere una
bella poesia e magari impararla a memoria, essere persone amate e non solo
amabili profili, accettare l’agone senza il divano, lavorare in modo più
giocoso e azzardare qualche scelta invece di lamentarci sempre della sfortuna.
Non
ho dimenticato l’amore, il gioco dei giochi. Il gioiello più fragile e prezioso
della vita, che per indossarlo infatti incastoniamo giorno per giorno nell’oro
dei riti. Eppure sembra che il galateo dei sentimenti stia sparendo. Non
sappiamo più giocare come si deve. Non sappiamo più arrossire, corteggiare,
sfiorare, cercare parole, ricordare un anniversario e fare una sorpresa. Compriamo subito, afferriamo subito, dimentichiamo
subito. Ci prendiamo gioco dell’amore, bariamo, per poi scoprire che ci siamo giocati la felicità. E finiamo col
nasconderci dietro un cinico e dolorante: non gioco più.
Da Facebook all’amore: così
bariamo
alessandro d’avenia
La
Stampa 29 Gennaio 2013
…se volete dite la Vostra qui sotto!!!
gba
In questo scampolo di terzo millennio, dove la vita ci propone ogni giorno dei forti motivi per tenere la nostra fantasia chiusa in un cassetto, abbiamo davvero disimparato a giocare.
RispondiEliminaMa in quel cassetto, dove ora ci sono i nostri giochi dismessi, dell’amore , dell’amicizia, della solidarietà, della lealtà una volta c’erano i sogni ….
Che fine hanno fatto … come fare a rintracciarli ?!
Siamo scivolati, apparentemente inconsapevoli, nel sistema del mondo quello che disgrega e separa, che fa sentire isolati e impotenti, e per difenderci dalla solitudine abbiamo permesso che le chat costruissero i loro muri , che i monitor facessero perdere il valore delle emozioni.
Molti sono rimasti passivi al sopraggiungere dell’indifferenza verso gli altri, perdendo la voglia di raccontarsi e sperare, lasciando dalle finestre l’amore, la lealtà, la solidarietà, l’onesta, come si usa fare con le “robe” vecchie a capodanno. Questo, anche grazie ad una società condizionata da un sistema politico, che fa della mala fede una virtù, che ha annullato lo spazio per le speranze e per i valori più alti, proponendo un futuro sempre più torbido e irrintracciabile.
Per molti, che desideravano arrivare sempre più in alto , nonostante le scarse possibilità di arrivare da qualche parte, e stato più facile offrire una gomitata al proprio vicino piuttosto che un sorriso, la presenza di scarse opportunità ha portato freddezza e competizione, ha seminando egoismo e slealtà.
E’ dunque facile, quando si smette di credere e di giocare, perdere di vista che da soli non si va da nessuna parte, che è con gli altri che si trova la forza di lottare e di ricostruire.
E’ facile dimenticarsi che la solidarietà e l’amicizia non annullano un dolore ma aiutano a sopportarlo.
I valori possono mutare per tenere il passo con i tempi, possono adeguarsi, ma mai diventare dei grandi assenti.
Stiamo pure lontani dai moralismi e dai i luoghi comuni, non saranno certo quelli che daranno un gusto nuovo alle cose, ma risentire l’odore della gente perché ci sta più vicino, toccare e guardare negli occhi qualcuno e capire che ci piace, sentire che il nostro pensiero è lo stesso di tanti altri, è un gioco che non ha né tempo nè spazio, al quale non si può rinunciare per sempre.
Per questo, confido e aspetto quel risveglio che porta via l’amarezza in modo assolutamente morbido e consapevole.
Ci sono anch’io “gba”, qui e sempre, per chiedere a questa società qualcosa di migliore, e a rimestare in quel cassetto dove i sogni respirano ancora.
Margherita Grolla