Aumenta
il debito pubblico
Aumentano
i poveri
Aumentano
i disoccupati
Matteo
mi sa che…
il debito pubblico
Aumentano
i poveri
Aumentano
i disoccupati
Matteo
mi sa che…
Dirsi in faccia un po’ di verità
di Ernesto Galli Della Loggia
Sono molte, forse anche troppe, le cose che
il governo attuale si è impegnato a fare. Ma mano a mano che qualcuna di queste
viene sia pur faticosamente compiendosi, ci si accorge che esse non bastano a
far ripartire il Paese.
La parola d’ordine della «rottamazione» con la quale Matteo Renzi ha costruito il suo successo quando era un outsider serve poco a Matteo Renzi presidente del Consiglio. Oggi, quel messaggio di rottura chiede non solo di essere riempito di contenuti specifici. Chiede soprattutto una visione più alta, una voce più matura e più convincente, capace di mobilitare le menti e i cuori: e in questo modo di spingerli al rinnovamento e all’azione. Voglio fare un esempio solo apparentemente minore: quello del rilancio del servizio civile messo in cantiere dal governo pochi giorni fa.
Ebbene, invece di farne un’occasione per
una sorta di grande chiamata all’impegno civico per l’Italia, rivolta a una
gioventù oggi sfiduciata e abbandonata a se stessa; invece di immaginare
obiettivi concreti per un tale impegno (chessò, pulire le coste e le rive dei
corsi d’acqua, tenere lezione d’italiano e di cultura elementare per gli
immigrati, presidiare di notte le periferie urbane garantendone la sicurezza);
invece di cercare di colpire l’immaginazione come avrebbe fatto un Roosevelt,
evocando una Giovane Italia che riprende in mano le sorti del suo Paese, invece
di qualcosa del genere ci si è limitati alle solite trattative con la solita
burocrazia della solidarietà, con le decine e decine di associazioni,
cooperative, Ong (in genere accuratamente lottizzate), che non si capisce bene
che cosa faranno ma si capisce solo che avranno un po’ di soldi pubblici in
più.
È in questo modo che il carisma che
certamente Renzi possiede rischia - ripercorrendo le orme fatali di Craxi
e di Berlusconi - di restare un carisma vuoto. Vuoto di quella capacità
essenziale per un uomo di governo che è la capacità di leadership (cioè di
guidare e di fare, convincendo e creando consenso). Non a caso, se non mi
sbaglio, già comincia a serpeggiare tra molti uno scetticismo larvato, un senso
di disillusione.
Non inganni il premier la pletora di quelli
che mossi dalla speranza di conservare le proprie posizioni ora vogliono
salire sul suo carro di vincitore. Sono proprio questi che ogni giorno di più
appesantiscono e impacciano i suoi movimenti, alla lunga rendono imbolsita la
sua immagine e, lungi dal costituire un seguito, semmai gli impediscono di
consolidarne uno. Il vero seguito, infatti, quello che gli serve per riuscire,
Renzi deve cercarlo nell’opinione pubblica, e a me pare che egli debba ancora
costruirselo.
La vittoria elettorale nelle elezioni
europee (i cui risultati, lo ricordi, si sono spesso dimostrati quanto mai
volatili) è soprattutto un preannuncio di consenso, ma guai a considerarlo
equivalente a un consenso già acquisito e consolidato.
L’Italia, non bisogna stancarsi di dirlo, è
sull’orlo di un vero e proprio declino storico. Arretriamo in tutto. In tutto
stiamo uscendo dal gruppo di testa nelle classifiche mondiali; sempre più
perdiamo la proprietà di pezzi importanti del nostro apparato produttivo;
peggiorano le nostre condizioni materiali di vita; si accrescono le differenze
sociali; aumenta la distanza tra le diverse parti della Penisola; i giovani,
presenti in numero sempre minore, ci abbandonano in misura sempre maggiore.
Dove sia il punto di non ritorno non lo sappiamo. Ma sentiamo che esso, ormai,
non è forse troppo lontano. Che senza un mutamento rapido e radicale, qui ed
ora, siamo destinati a vedere cominciare a sgretolarsi l’edificio di conquiste
storiche costruito pur tra alti e bassi lungo un secolo e mezzo. Perché è
questo e non altro ciò che oggi è in gioco.
Matteo Renzi se ne rende conto? A tanti è
sembrato di sì.
E che proprio perciò egli fosse la persona
giusta per guidare il Paese. Molti hanno sperato che forte della sua giovane
età e del suo temperamento egli potesse essere il protagonista del mutamento
radicale che serve all’Italia. Renzi lo sa. Finora, però, non ha compiuto il
passo davvero decisivo per avviare la svolta che il Paese attende: il passo
senza il quale tutto il resto è impossibile. E cioè dire a questo stesso Paese
la verità.
Per risalire la china abbiamo bisogno
innanzi tutto di verità. Che si dica come stanno le cose, che si parli dei
molti errori che abbiamo commesso e delle vie senza uscita in cui ci siamo
cacciati. Che si smascherino le bugie di vario genere che le mille corporazioni
italiane, dai magistrati ai giornalisti, ai tassisti, raccontano e si
raccontano per mantenere i propri privilegi ai danni dell’interesse generale.
Dobbiamo sapere che da troppo tempo crediamo di poter vivere al di sopra dei nostri mezzi. Bisogna che l’Italia ascolti raccontare per filo e per segno degli sprechi pazzeschi e delle disfunzioni (dal numero degli addetti alle spese vere e proprie) che quasi sempre con la complicità dei sindacati sono divenute la regola nelle amministrazioni pubbliche. Che si dica a voce alta che fare le Regioni come le abbiamo fatte, con i poteri che abbiamo loro dato, è stato una scempiaggine assoluta.
Che dalle elementari all’università abbiamo
scaricato sul nostro sistema d’istruzione tutto lo sciocchezzaio ideologico e
tutte le fumisterie parademocratiche che ci hanno attraversato la mente negli
Anni 60-70, in tal modo mandandolo in pezzi. Che le privatizzazioni sono state
un’autentica truffa ai danni della collettività. Che troppo spesso il livello
professionale del management alla guida del nostro apparato produttivo e
bancario è infimo mentre la sua sete di soldi è enorme. Che da noi il merito è
messo al bando dovunque ma specie dalla classe dirigente, continuamente a caccia
di posti tramite raccomandazione a pro di mogli, mariti, figli e amanti vari.
Che le cose stanno così (e quelle ora
elencate costituiscono solo un modesto campionario) lo sanno, lo sappiamo
tutti. Ma sarebbe una vera rivoluzione se a dirlo fosse il Potere, per bocca
del presidente del Consiglio: perché solo a quel punto la verità da tutti
conosciuta diverrebbe innegabile. Sarebbe un macigno ineludibile nel nostro
discorso pubblico con cui tutti dovremmo fare i conti. Mettendo così a rischio
i nostri vizi più inveterati: a cominciare per esempio dalle bugie pietose
delle corporazioni di cui dicevo sopra, come quella dei magistrati, con i loro
motivi di aria fritta accampati per conservare il privilegio di restare in
servizio fino a 75 anni.
Certo, dire la verità è quasi sempre
scomodo e difficile. Ma se vuol mantenere fede alle speranze da lui stesso
suscitate, se vuole cambiare verso al Paese, Matteo Renzi è atteso a questa
prova di lucidità e di coraggio. Per cui serve una cultura politica, una conoscenza
della società italiana e della sua storia, un’ispirazione anche morale (sì,
quando la politica va oltre la routine, essa s’incontra inevitabilmente con
l’etica), che non so se egli abbia. Ma qui è Rodi, e qui egli deve saltare.
Senza una grande operazione di verità, di tutta la verità, sul proprio passato
e sul proprio presente, l’Italia non potrà mai cambiare strada. E quindi non
potrà mai salvarsi.
Corriere
della Sera 15 Luglio 2014
…il verso
è sempre
lo stesso!!!
Se volete, dite la Vostra qui sotto!!!
gba
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