domenica 1 marzo 2015

Il
potere bieco
del potere
nell'universale
ipocrisia!!!

Il mio amico Boris eliminato perché voleva una Russia europea.È stato ucciso dal clima che si è creato nel paese negli ultimi anni, un clima divenuto insopportabile
con la crisi ucraina. Un clima di odio feroce verso coloro che hanno un’opinione politica diversa

VIKTOR EROFEEV MOSCA

Scrivo fra le lacrime. Boris Nemtsov, barbaramente ucciso nel cuore di Mosca, su un ponte vicino alle mura del Cremlino, era un mio amico. Ma ciò che più conta adesso è che era amico della Russia, un amico vero, devoto, senza paura. Se si vuole, il suo paladino. Difendeva la Russia dal suo penoso scivolare verso l’autoritarismo, l’isolamento, il baratro, la follia. Non ha mai dubitato, neanche per un minuto, che la Russia potesse ancora essere salvata e ricondotta fra i paesi europei. La Russia — lo credo anch’io — può essere salvata, ma Boris non più, mascalzoni ben addestrati lo hanno assassinato a colpi di pistola.

Nemtsov è stato ucciso innanzitutto dal clima che si è creato nel paese negli ultimi anni, e che è diventato insopportabile dall’inizio della guerra con l’Ucraina. Un clima di odio feroce verso coloro che hanno un’opinione politica diversa, coloro che non esaltano il presidente russo per la sua ideologia del “Mondo russo” senza frontiere, una nuova variante dell’utopia del mondo ideale oltraggiato da un occidente privo di morale. Fiumi di odio che si riversano dai canali televisivi federali della Russia, mescolati al fango della menzogna più sfrontata, è questo il clima politico nel quale il mio amico è stato assassinato.

L’omicidio di Nemtsov è una nuova pietra miliare nella storia politica della Russia. Finora, dai tempi della caduta dell’Unione Sovietica, i leader dell’opposizione, coloro che la pensavano diversamente venivano eliminati per mezzo di carceri e tribunali. Ora si è alzato il tiro, si è inaugurata l’epoca dell’eliminazione fisica. Naturalmente, a tutti qui è venuto in mente il parallelo con l’omicidio di Kirov, avvenuto nel 1934. Il segnale di inizio del grande terrore staliniano. Dove sta andando oggi la Russia del Cremlino? Difficilmente verso un ravvedimento, difficilmente riconoscerà i suoi errori e correrà a far pace con l’Ucraina, con l’Europa, con tutto il mondo occidentale.
La Russia ufficiale ripeterà senza sosta di non avere nessuna colpa, che la morte di Nemtsov non le è utile dal punto di vista della sua reputazione, e infine aggiungerà, per voce di Peskov, il portavoce di Putin, che Nemtsov era un comune cittadino e il potere non aveva nulla a che spartire con lui.

Il killer sarà fatto fuori, o è già stato fatto fuori, e le indagini difficilmente condurranno ai veri mandanti dell’assassinio, i quali hanno commissionato non un semplice omicidio politico ma un vero e proprio spettacolo politico a futuro monito di tutti gli oppositori. Per la sua arroganza, per il senso di impunità dimostrato, questo spettacolo somiglia ai giochi caucasici all’ipercentralismo, alla morale superconservatrice, cui stiamo assistendo attualmente in Cecenia. Ma non è escluso che i mandanti possano trovarsi fra i nazionalisti dell’estrema destra russa.

Boris ha fatto una rapidissima carriera politica negli anni della perestrojka. È una delle giovani icone politiche del primo Eltsin. Con un meraviglioso senso dell’umorismo e un vero talento per la narrazione, Nemtsov mi raccontava come “nonno” Eltsin avesse deciso, verso la metà degli anni Novanta, di farne il suo successore. Ma aveva cambiato idea dopo aver preso le distanze da un percorso europeo di sviluppo. Nei primi anni di Putin Nemtsov aveva ancora la possibilità di incontrare il presidente ma il suo prestigio si indeboliva ogni mese di più. Forte del pensiero di Ivan Il’in, un filosofo russo nazionalista poco amato da Nikolaj Berdjaev per le sue collusioni con il fascismo, Putin rifiutò la richiesta di Nemtsov di non ritornare all’inno sovieti- co solo un po’ modificato. Nemtsov aveva portato con sé all’incontro un intero scartafaccio di firme di intellettuali russi che protestavano contro il ritorno all’autoritarismo. Putin, come mi riferì successivamente Nemtsov, aveva risposto: «Tale popolo, tale musica». In queste parole risuonano i toni tipici di Stalin.

Qualche anno fa mi trovavo sul lago di Como in compagnia di Nemtsov. Parlavamo di patriottismo. Dicevamo che in Russia l’amore per la patria viene spesso interpretato come amore per lo Stato; il potere gioca con questi concetti. Nemtsov voleva che non soltanto noi amassimo la patria, ma che la patria amasse a sua volta noi, aiutando le persone a vivere umanamente, nello stile della tradizione europea. Sul lago splendeva il sole e Boris si tuffò, dirigendosi verso il largo. Aspettavo che tornasse ma lui non si vedeva. Nella mia mente si agitavano pensieri orribili. Infine riapparse, come se fosse resuscitato dai morti. Venne fuori che era un ottimo nuotatore ed era arrivato sull’altra riva del lago...

Questa volta, però, è molto peggio. Lui, così innamorato della vita, delle belle donne e della buona cucina, una persona semplicemente perbene, non tornerà mai più fra noi. Ma il suo modello di una Russia attraente, di una Russia di alta cultura, prima o poi trionferà.

Qualche tempo fa mi chiese: “Che dici, mi metteranno dentro?”, gli risposi che non era ancora arrivato il suo turno. Mi sbagliavo: non solo era arrivato, ma lui ha superato tutti, entrando nel pantheon delle vittime politiche a fianco di Galina Starovojtova e Anna Politkovskaja. I siti russi hanno pubblicato un’infinità di porcherie antiliberali su Nemtsov, prendendo spunto dalla sua morte. Significa che la propaganda ha fatto il suo lavoro, che la nostra gente manca di onestà. Ma d’altro canto: mi ha appena telefonato un mio lontano parente, ortodosso e nemico del liberalismo, per dirmi che l’omicidio di Nemtsov è un colpo alla schiena per tutti, a prescindere da come la si pensi. Se prevarrà questo punto di vista, Nemtsov — il politico del dialogo e del compromesso — non è morto inutilmente. No, è comunque morto inutilmente! Le lacrime mi soffocano!
(Traduzione di Andrea Lena Corritore – La Repubblica 1 Marzo 2015)

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