sabato 28 marzo 2015


 Umanità 
malata

Ogni tanto mi assale il dubbio che l’aereo tedesco possa essere caduto a causa dell’ennesimo attentato e non per il gesto folle di un giovane depresso ma credo che, in un caso o nell’altro, la differenza sia più di forma che di sostanza.

In entrambi i casi questa ennesima tragedia è figlia di una metastasi che, volutamente e da molti anni, sta invadendo il pianeta.

Una metastasi subdola e letale che ha oramai reso l’umanità tutta vittima sacrificale della volontà dei pochi che, a tutti i livelli di potere, ci inducono a pensare che la libertà, vera o presunta che sia, consista nella possibilità di pensare solo al proprio specifico interesse, sempre e comunque. Questa singolare interpretazione ci fa ritenere “liberi” perché ognuno può teoricamente stabilire e giustificare i propri atteggiamenti e non ci si rende  conto di essere, comunque e sempre, vittime dei condizionamenti imposti dagli strumenti che governano la società.

Questa malattia virale si chiama molto semplicemente “individualismo” e viene proposta in modo tanto più massiccio quanto più le conseguenze del suo prolificare diventano eclatanti.

Gli esempi sono molteplici tutti irrorati di una ipocrisia insopportabile, ma voglio fermarmi solo su quest’ultimo caso.

Media di ogni tipo ci stanno inondando di particolari, veri o presunti poco importa, sulla vita del giovane pilota. Una voracità inumana di particolari drammatici volti ad ottenere un solo risultato, ovviamente non dichiarato, esaltare l’assoluta esigenza di vivere senza più avere fiducia di niente e di nessuno.

Provate a immaginare in che mondo potremmo essere se i media, prendendo per buona la versione dei fatti proposta, invece di raccontarci la vita del giovane pilota ci avessero raccontato del comandante che ha tentato invano ed in tutti i modi di farsi aprire il portellone della cabina di comando. Lui stava pensando a se stesso e agli altri. Atteggiamento encomiabile ma ritenuto banale e non funzionale all’esigenza di dover spargere terrore e sfiducia nel prossimo.

Ricordate l’ufficiale Gregorio De Falco che intimò al comandante Schettino di risalire sulla nave…bene in quanto soggetto saggio, positivo ed encomiabile è stato rimosso dal suo incarico di capo della sezione operativa della direzione marittima di Livorno e spostato in un anonimo ufficio amministrativo

A questo gioco barbaro ed ipocrita si prestano, con modalità ed intensità diverse, politici, filosofi, psicologi e ruffiani edotti in un’unica comune materia; la gestione del potere per il bene esclusivo di chi ha il potere. Divide et impera.

Che sia un atto terroristico o che sia la follia di un pilota l’importante è dividere, non cercare di unire. Questo accade tutti i giorni sempre di più, tra tutti noi, nelle banalità, in quello che rimane della normalità e nelle tragedie.

Viviamo in un mondo globalizzato, iper connesso, super tecnologico dove ci è concesso di illuderci di essere amici di migliaia di persone, ma non possiamo avere la pretesa di avere qualcuno per mano.

Se avete voglia leggete l’articolo in calce. Andrew Keen, per fortuna, non è l’unico a scendere dal carro della indiscutibile magia di internet.

Il progresso non va ostacolato ma forse occorre indurre gli esseri umani a condividerlo, condividendo in modo reale e non solo virtuale. Non possiamo illuderci che qualcuno ce lo insegni o ci aiuti a farlo, dobbiamo volerlo noi. Essere se stessi e condividere in modo leale, senza pregiudizi, rispettando se stessi ed il prossimo, la nostra e le altrui culture.

Si fa sicuramente più fatica, ma non c’è altra alternativa. Il futuro possibile è noi e non io. Gba


“Internet, una falsa rivoluzione”

Il guru della rete Andrew Keen: aumenta la disparità tra ricchi e poveri, disattese le promesse di libertà




C’è stato un tempo in cui su internet si sprecavano i commenti entusiastici. Evangelisti e profeti del web parlavano nel vuoto, pochi li ascoltavano, pochi li comprendevano. Oggi invece trovano più spazio i sostenitori di un pensiero critico, che mette in discussione il web com’è e com’è diventato. Uno dei più famosi è Andrew Keen, 55 anni, londinese trapiantato in California: in The Cult Of The amateur prima, Digital Vertigo poi e ora The internet Is not The Answer ha discusso i lati oscuri di internet, smontando e confutando il paradigma di un ottimismo secondo cui il digitale è sempre sinonimo di benessere e progresso. «Ma non nego che esistano aspetti positivi - spiega - e non penso che si possa o si debba tornare indietro».

In Italia per alcuni incontri col pubblico (martedì scorso al Circolo dei Lettori di Torino, mercoledì a Milano per Meet The Media Guru), Keen ha ben chiaro che in Europa e in particolare da noi può essere controproducente parlare di aspetti negativi del web quando ancora si fa fatica a percepire quelli positivi: «Il mio è un punto di osservazione privilegiato, in Usa certi processi sono iniziati prima. Ma quando arriveranno anche in Italia bisognerà saperli interpretare». Keen insiste molto sul potere che internet ha di rimettere in discussione strutture e sistemi consolidati, cita l’esempio di Uber che ha causato reazioni fortissime tra i tassisti (anche in Italia), di AirBnb, il servizio di affitti di alloggi tra privati che oggi vale la metà della catena alberghiera di lusso Hilton. E dedica un capitolo alla cittadina di Rochester, dove quasi tutti gli abitanti lavoravano per Kodak e ora non hanno un impiego, e spesso nemmeno una pensione. Ma sarà davvero colpa di Instagram, come sostiene lui? «È l’equivalente più vicino a quello che faceva Kodak una volta - risponde -. Anche se, come sempre con Internet, il digitale non corrisponde esattamente all’equivalente analogico».

Molto ricco e documentato, con due capitoli dedicati alla storia del World Wide Web, il libro di Keen insiste sul fatto che le promesse iniziali del web non sono state mantenute. Eguaglianza, libertà di espressione e partecipazione, democrazie sono parole vuote, o addirittura «ipocrite» se pronunciate oggi da uno come Zuckerberg. Perché? «Con il progetto Internet.org dice di voler portare internet ai Paesi emergenti, ma in realtà il suo scopo non è quello di dar voce a chi non ne ha una: dietro i proclami idealistici c’è una strategia commerciale mascherata da filantropia». 

Lasciata alle sue regole, la Rete non è un meccanismo di distribuzione di profitti, ma tende invece a concentrarli nelle mani di pochi fortunati: «È una delle maggiori accumulazioni di ricchezza della storia. Aziende come Google e Facebook vendono la nostra privacy al miglior offerente, con la pubblicità che ci segue ovunque, tagliata esattamente sui nostri gusti. E ogni volta che facciamo una ricerca o postiamo qualcosa, stiamo lavorando per loro, gratuitamente, offrendo informazioni sempre più precise per aiutarli a farci diventare un target perfetto».

È allora il caso di invocare leggi che ci proteggano oppure è troppo tardi? «Dall’Europa sono venute le prime obiezioni concrete all’idea che su internet il vincitore prende tutto e detta le sue regole. Prima uno stop alle concentrazioni monopolistiche, che ha colpito Microsoft, ora la questione del diritto all’oblio, che riguarda Google. Un governo deve immaginare regole che permettano lo sviluppo, ma al contempo siano capaci di indirizzarlo in una direzione precisa». La politica è la risposta allora? «Non lo so, certo non è internet». Internet, nella visione di Keen, è semmai una nuova rivoluzione industriale, come quella del ferro e del vapore nell’800: «Anche allora c’era chi si schierava contro, e col senno di poi possiamo dire che era una posizione senza senso».

Ci si può ancora opporre, forse, all’avanzata delle tecnologie da indossare e degli oggetti connessi: «Gli smartwatch potrebbero diventare una seria invasione della privacy, l’Internet delle cose potrebbe limitare ulteriormente il nostro spazio privato. Davvero ci serve avere un aggeggio al polso per avvisarci ogni volta che arriva una mail?», si chiede Keen. Tira fuori il suo iPhone 6 Plus e mostra l’app di posta elettronica: «Io penso che la cosa migliore delle mail non sia la notifica, ma il tasto elimina».

Bruno Ruffilli La Stampa 28 Marzo 2015

Per cambiare occorre una

Altra Cultura

Cantiere di opinioni
e di azioni

valorizzare il territorio ed i suoi abitanti attraverso il confronto e la condivisione

per esprimere
al meglio il meglio

Ci troviamo al
TREFF
via San Carlo 1 Giaveno(TO)



Lunedì 13 Aprile 2015 ore 20.30

Faremo il punto sul progetto
“Legami”
Territorio Arti Culture

Gli incontri sono aperti a tutti
e se vorrai portare un libro da scambiare
aiuterai la cultura a viaggiare

Se volete, dite la Vostra
qui sotto!!!

gba

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